Se il Medio Oriente è in subbuglio, e lo è davvero, questo accade perché sta ridefinendo la propria identità. Del resto, non poteva essere altrimenti, sotto la spinta di una guerra come quella irachena, l’ascesa degli sciiti e la conseguente forza anche elettorale acquisita dall’Islam politico radicale. E nel Medio Oriente definire le identità significa insieme definire i confini. Non solo quelli tra gli stati e tra le etnie, ma anche quelli della stessa regione.
In questo senso sempre più importante è ciò che succederà alla Turchia: guarderà all’Europa – rappresentando così un ponte verso il Medio Oriente sul quale potrebbero passare beni civili come pluralismo e dialogo – oppure dopo la sua ripulsa guarderà all’Asia, agendo da fossato e muro per tutto ciò che potrebbe venire dall’Europa e dunque dall’Occidente?
In questo senso l’assegnazione del premio Nobel per la letteratura al grande scrittore turco Orhan Pamuk può essere un’occasione da non perdere per tutti coloro che hanno a cuore la prima ipotesi. Ma anche l’Europa, la sua unità e il suo destino, visto che l’inclusione della Turchia sarebbe uno di quei rari casi di “tutti vincitori”: il Medio Oriente, che da ex colonia si libererebbe della presenza dell’ex colonizzatore; la Turchia, che ha un istinto europeo, e anche l’Europa. Perché anche da tale prova dipende la prosecuzione del processo di integrazione europea e dunque il ruolo che l’Europa è chiamata a giocare nel terzo millennio. Infatti, anche a fronte delle difficoltà e dell’impasse in cui si trova l’Unione dopo la battuta d’arresto del processo di ratifica della Costituzione, occorre che tutti coloro che lavorano per la soluzione di tale difficoltà – e per fortuna sono molti, anche in Italia – siano consapevoli del lungo cammino che li aspetta: un cammino fatto, certo, di passi in direzione dell’ “approfondimento” del processo di integrazione – in primo luogo dunque capace di sciogliere il nodo venutosi sempre più aggrovigliandosi con l’impasse del processo di produzione e ratifica costituzionale – ma anche di altrettanti e decisi passi nel contestuale processo di allargamento. Perché i due si tengono e, come si dice, “simul stabunt simul cadent”. Che sia così, del resto, è provato anche dalle difficoltà e resistenze interne al processo di allargamento condotto dalla Presidenza Prodi, difficoltà e resistenze che non sono estranee al progressivo incepparsi dello stesso processo di ratifica costituzionale, poiché ad esso è venuto progressivamente a mancare un consenso che ha cominciato ad essere eroso proprio dall’azione contraria all’allargamento nei vari stati nazionali.
Per far ripartire un processo di costituzionalizzazione è necessario che l’organismo da normare e definire abbia ben chiara e presente a se stesso la propria identità. Nella sua famosa introduzione al corso di storia contemporanea del 1947 il grande storico Federico Chabod scrisse che l’Europa è una costruzione politica, e non geografica. Cioè i suoi confini sono definiti dall’unità e dalla chiarezza d’intenti, non da fiumi, laghi o mari. L’Europa in questo senso ha fatto un grandissimo, cruciale passo in avanti con la propria riunificazione. Oggi, però, mancano alcuni tasselli assai importanti.
Il primo sono i Balcani. La loro centralità è stata riconosciuta dal fatto che nel 1999 si è dovuta perfino fare una guerra per impedirne la distruzione e scarnificazione, ed oggi l’Europa tutta è presente in quell’area per una ricostruzione tanto difficile quanto necessaria. Il secondo tassello, forse ancora più importante dal punto di vista identitario, è la Turchia. Perché la Turchia è stata la centrale di quell’impero che ha lasciato così tanta impronta di sé proprio nei Balcani, e dunque le due aree rimangono l’una in qualche modo legata all’altra – anche dopo un secolo dalla fine dell’impero ottomano – in maniera stretta, storicamente (e dunque politicamente) rilevante.
L’assegnazione del Nobel a Pamuk allora offre a tutti – di qui a poco partiranno le celebrazioni sull’autore e la sua cultura, oltre che sul suo paese – un’occasione per riflettere sulla posta in gioco: l’entrata della Turchia nell’Unione europea è un passo necessario a definire in termini inclusivi e pluralistici l’identità europea. Essa è infatti nelle radici giudaico-cristiane ma anche – naturalmente in quota parte – nelle radici islamiche (lo dice la storia della Sicilia, dell’Andalusia e quella dei Balcani, oltre che della Turchia) e nelle radici civili della propria tradizione giurisprudenziale, a cominciare da quella romana per finire con quella degli stati nazione del ventesimo secolo.
Compito della classe dirigente italiana è di non perdere l’occasione rappresentata dalla premiazione di Pamuk per cercare di discutere in modo costruttivo e non provinciale di questi grandi temi, così importanti per il nostro futuro: in questo senso penso come esempio negativo alle prime scomposte reazioni di chi vorrebbe utilizzare il grande scrittore contro l’ammissione della Turchia nell’Ue, strumentalizzando la letteratura e la storia, il Nobel a Pamuk e il genocidio degli armeni. Tentativi ridicoli, avendo lo stesso neolaureato Pamuk espresso parole di critica alla legge francese in materia, che tante polemiche ha giustamente sollevato. In fondo, proprio la premiazione di uno scrittore così centrale nel suo paese e nella sua cultura – dove Pamuk si contraddistingue, ma certo non da solo, per la ricchezza e la forza della propria concezione democratica – dimostra la vitalità di quella tradizione, la sua forza interiore anche nell’analisi delle proprie mancanze, e dunque in definitiva il grande contributo che potrebbe dare a tutta l’Europa una volta ammessa a contribuire da affluente al grande fiume della costruzione civile europea. Sarebbe un bene non dimenticarlo. Perché la costruzione di un nuovo Medio Oriente, di una più forte Europa politica e in definitiva di un Occidente capace di non interiorizzare – realizzandola da solo – una sindrome dell’assedio passano proprio da Ankara e Istanbul. ■