Nel secolo breve, in realtà i due secoli da metà settecento a metà novecento, la classe operaia, generata dalla fabbrica, è stata il punto di riferimento sociale della politica. L’altro riferimento, istituzionale, erano gli Stati “padroni a casa propria”, delineati dalla Pace di Vestfalia del 1648. Punti non più fermi perché, dalla metà del novecento, non solo la fabbrica e la classe cominciavano a essere dissolte dall’automazione e dalla delocalizzazione, ma il capitale diveniva apolide perché assurgendo a pura finanza dimenticava ogni patria e confine. Di conseguenza la sovranità degli Stati decadeva da piena a residuale sicché non ne esistono più che possano definirsi davvero “sovrani” (e questa è la ragione per cui i sovranisti d’oggi paiono più zombie fracassoni che neonati del mondo attuale).
Va da sé che l’imprendibilità del capitalismo finanziario e il collasso della sovranità hanno generato lo smarrimento del variegato e vasto mondo che, per il suo stare in mezzo fra Classe, Capitalismo e Sovrano, era definito e si autodefiniva “ceto medio”. Da qui il dilagare dell’immediato a danno del prospettico. Per cui i grandi progetti paiono, nella migliore delle ipotesi, castelli in aria e, nella peggiore, mire altrui, non meno miopi del nostro dargli contro. Si uscirà dall’immediatismo politico solo se e quando i fenomeni sociali riveleranno un qualche nuovo ordine, un bandolo purchessia capace di offrirne una mappa significativa.
Pare che stia accadendo negli Usa “laboratorio di opposte rivoluzioni” (secondo Maurizio Molinari, sulla Stampa del 7 novembre, a proposito del voto di Midterm): la rivoluzione della paura, col voto convergente di chi per quel che ha teme l’invidia sociale e di chi quel poco che ha lo sta perdendo; la rivoluzione dei diritti pretesi da chi non li ha: donne esposte ad abusi, minori esposti alla piaga delle stragi a scuola, afroamericani e minoranze etniche, omosessuali. La rivoluzione della paura ha gli occhi volti al basso in cui teme di precipitare. La rivoluzione dei diritti punta al proprio miglioramento e guarda in alto. Altrove, per ora, si manifesta solo la rivoluzione della paura. Scovare le latenze di ottimismo rivendicativo è la questione aperta. E serve dell’ottimismo, intanto, per mettersi a scavare. Ma anche in fretta, perché nel frattempo la democrazia resterà zoppa, a rischio di svuotarsi.