C’ è molta confusione sul concetto di comunicazione politica. A proposito del governo Prodi e della Finanziaria, per esempio, si dice che ci sono stati errori di comunicazione. La stessa cosa si era detta per altri provvedimenti del governo Berlusconi, una coincidenza che non è certo un buon segno né un segno di discontinuità; un mal comune che non fa mezzo gaudio.
Che cosa sarà mai dunque questa sempre evocata e mai da nessuno compiutamente governata “comunicazione politica”? Quali fini si prefigge? E’ una maniera di prendere in giro i cittadini? E’ marketing spregiudicato? In altri termini: i cosiddetti “errori di comunicazione” si verificherebbero quando le persone si accorgono di essere state prese in giro? Quando invece si può rifilare un prodotto scadente con la piena soddisfazione del cliente è un successo di comunicazione?
Non è questo il luogo per discettare sulla buona qualità o sulla cattiva qualità di un singolo o di una serie di prodotti, ammesso che i provvedimenti del Governo siano i prodotti della politica. Qui, per chiarezza e per prima cosa, occorre dire che la comunicazione politica è altro dalla comunicazione commerciale. La comunicazione commerciale si chiama pubblicità. E la comunicazione politica? Un tempo si chiamava propaganda.
La differenza tra marketing e politica è che la politica ha un principio diverso: il principio etico. Il primo indirizza un comportamento specifico di una persona: l’acquisto. La politica invece ha a che fare con un fascio molto più ampio di comportamenti: buona parte dell’essere sociale e delle relazioni correlate.
Si può quindi fare comunicazione politica senza un’idea generale e compiuta di società. Si può, ma non si può fare molto bene.
O c’è una capacità di mettersi in sintonia con il paese, un’empatia, una lucida e approfondita capacità di analisi dei processi sociali e conseguentemente un coraggio nell’indicazione delle mete, oppure c’è quello che Silvio Sircana, portavoce del presidente del Consiglio, ha definito, riferendosi ai primi mesi di vita del governo, e con grande onestà intellettuale: “Un mix di deficit politico e di deficit di comunicazione”. E’ forse mancata in questi mesi una compiuta capacità di direzione nella comunicazione, sia dal punto di vista della gestione, sia sul piano degli indirizzi generali. Le tensioni politiche non sono state governate e ricondotte ad un obiettivo, sono state subite, si è puntato a una mediazione del giorno per giorno con scarsa programmazione; una mediazione senza direzione.
Il risultato è una certa timidezza nel comunicare, un basso profilo, una comunicazione sussurrata, quasi che si preferisse non essere ascoltati, perché le cose che si hanno da dire e da annunciare fanno male; meglio che nessuno le senta. Mi chiedo se non sia un atteggiamento figlio di un’ambizione eccessivamente moderata, debole, repressa.
Una comunicazione timida, che gioca in difesa, non è una comunicazione vincente. Non è una comunicazione di governo. La comunicazione politica vince quando sa guardare avanti, quando è capace di chiedere uno sforzo in vista di un cambiamento, quando è capace di suscitare energie nuove, quando fa vedere cose che non si vedono, non per illusionismo, ma per lungimiranza. Sta qui il suo specifico etico e culturale.
La comunicazione politica è creazione di concetti, è creazione di una suggestione, di una tensione etica collettiva; o la comunicazione politica coltiva questa ambizione, puntando a incidere sul senso comune, sul sistema delle gerarchie e delle priorità, o altrimenti sarà una comunicazione effimera, capace forse di occupare ogni tanto i titoli di un giornale ma non di fare e di farsi cultura.
Ha detto bene Sircana sui limiti comunicativi del presidente. Non possono essere questi il problema. “Non è necessario essere stati tutti allievi dell’actor studio per fare politica”. A dimostrazione di ciò c’è lo splendido agosto prodiano; quando c’è stata una missione da compiere, quando c’è stato uno sforzo da chiedere agli italiani, allora massimo è stato il consenso per il governo. Prodi in quella occasione, insieme ai soli ministri degli Esteri e della Difesa, ha condotto una trattativa internazionale di altissimo profilo e ha vinto. Ha saputo interpretare la dignità del paese, le sue ambizioni, la sua responsabile volontà di costruire la pace: ha incarnato un principio etico. Ma a dimostrazione di questo ci sono anche le primarie dell’anno scorso, in cui uno che non è un comunicatore, un oratore, che non ha mai trascinato nessuno con un discorso, ha trascinato a votare 3.200.000 persone. Capire che tipo di speranza quel fatto ha rappresentato per il paese, quale principio etico, e capire come rappresentarli entrambi ancora è uno studio su cui la comunicazione politica, questa comunicazione politica, non si è ancora purtroppo applicata. Studiare dunque, prima di comunicare, e studiare non tanto la storia che sta nei libri, ma almeno la storia propria. Capire che in questi ultimi dieci anni la società è cambiata e soprattutto come è cambiata e capire che non si può comunicare oggi come si comunicava dieci anni fa.