E’ diventato troppo facile scaricare un po’ di roba dal computer di casa e venderla come il proprio album nuovo. E’ colpa di tutti quei musicisti che cagano un cd al mese, oltretutto facendo diventare un’impresa scovare del buon materiale in mezzo a centinaia di uscite”. L’aggraziata autrice di questa frase si chiama Genevieve Pasquier, di professione compositrice ed esecutrice di musica elettronica a partire almeno dal 1995, anno in cui si associa ad Anton Knilpert per formare i Thorofon, gruppo tra i più apprezzati della scena elettro/industrial. Il sodalizio dura dieci anni, fino a un consensuale scioglimento sancito dal doppio lp “New Heroes” (’05). Knilpert assume il nome d’arte di Dan Courtman per dedicarsi a un nuovo progetto, chiamato “The Musick Wreckers”; Genevieve prosegue la carriera solista intrapresa nel 2003 con il 12” “Virgin Thoughts” al quale hanno fatto seguito “Pulse” (7”, 2004), “Genevieve Pasquier vs Bastards Of Love” (7”, 2005), “Lines” (7”, 2005) e il primo full-length – nonché primo lavoro su supporto cd, i precedenti essendo tutti editi in vinile – “Soap Bubble Factory” (2006). La buona accoglienza riservata a quest’ultima produzione ha spinto Pasquier a un bis ravvicinato con “Virgin Pulses”, raccolta antologica che include le precedenti pubblicazioni, qui rimasterizzate e – in alcuni casi – in versioni differenti dalle originali, con l’aggiunta di due brani nuovi (“Blitzkrieg Baby” part 1&2). Nella stessa intervista da cui abbiamo tratto la citazione d’apertura, Genevieve indica alcune tra le sue fonti d’ispirazione originarie: Kraftwerk, Jean-Michel Jarre, Pink Floyd. Un terzetto di per sé già abbastanza eterogeneo, seppure accomunato dall’uso dell’elettronica e della strumentazione elettrica. Di suo, l’artista tedesca aggiunge un talento e una curiosità attenti a un’infinita varietà di influenze, come testimonia lei stessa: “Non credo di appartenere o di conformarmi a qualche tradizione o di appartenere a un movimento. Quello che faccio avrebbe potuto benissimo essere stato fatto dieci, venti, cinquanta o persino cento anni fa, se fosse stato possibile al tempo”.
E poiché la sintesi finale di questa elaborazione rimane sempre all’interno del territorio industrial, la musica di Pasquier è tutt’altro che una gentile, spaziale elaborazione ambient.