L’analisi “costi vs benefici” della Tav ci racconta tanto della politica quanto dei media. Hanno torreggiato per un paio di giorni i titoli diffusi a caldo da tv e giornali: «Otto miliardi di euro di perdita secca». L’immediato risultato è stato di confortare l’autostima e le convinzioni di chi quel dato sospettava/desiderava. Quelli come noi, non particolarmente schierati, cercavano qualche lume, ma non lo trovavano. Anche perché nei sottotitoli si faceva appena scorgere un paradosso talmente enorme da farci temere le traveggole. C’è voluto qualche giorno per verificare, nonostante le intemerate di Travaglio, che quell’enorme «perdita» era essenzialmente il venir meno di ricavi pubblici e privati (accise sulla benzina e pedaggi autostradali) eliminati dal trasferimento di molto traffico dalla gomma alla strada. Insomma, i costi posti a carico dell’impresa erano in realtà proprio i benefici per i quali ha senso realizzarla (traffico più scorrevole e minore inquinamento insieme con una pressione fiscale diversamente distribuita e una qualche riparametrazione del business autostrade).
Siamo dunque al gioco delle tre carte? In parte sì, perché esso – come sa chi ne ha qualche esperienza – è insito in qualsiasi analisi costi-benefici. Ma anche no, perché in realtà siamo al cuore della politica in cui non c’è medaglia che non abbia il suo rovescio e si tratta sempre di arrabattarsi tra i problemi (gli esempi sono innumerevoli: tassisti e ncc, ambiente e industria, libertarismi e securitarismi). Intanto noi, per quel che alla fine siamo riusciti a capirne, ci siamo davvero convinti, e proprio osservandone i “costi”, dei benefici della Tav. Ciò detto, è evidente che la politica, in questo caso del M5S, ha ragionato essenzialmente in funzione dello spettacolo puntando a disporre di una sparata destinata alla “prima impressione”, quella che comunque, anche inconsciamente, permane, nonostante ogni successivo approfondimento. Astuzie legittime, per carità!
Meno legittima è invece la sostanziale passività della macchina dei mass media, tv e giornali. Tanto che per due/tre giorni i titoli di giornali e telegiornali, i sottopancia delle news h24 e gli incipit dei talk show hanno ribadito lo slogan degli «otto miliardi di perdite». Il sospetto è che non si sia trattato di servilismo, ma di un deficit di competenza, di una carenza di cultura che impediva di dialettizzare all’istante con lo slogan diramato dal ministero. Il punto è: può un sistema mediatico, può il giornalismo produrre informazione senza informare e formare preliminarmente se stesso? Può limitarsi a fare – ben che vada – da sparring partner alle urgenze delle varie propagande? E ancor più, come potrà mai la politica non rimanere macchietta senza una informazione che la costringa a volare un po’ più in alto? Sono crisi intrecciate? O è possibile che una delle due parti se ne divincoli costringendo anche l’altra a migliorare? Temi su cui tornare, ovviamente.