La decisione del governo sulla Tav è chiara: partono gli avvisi, ma non i bandi, anche se a voler essere proprio pignoli partiranno anche quelli – per la buona ragione che sono la stessa identica cosa – ma con riserva, diciamo pure con l’elastico, che poi sarebbe la famosa clausola di dissolvenza. Dunque partiranno, ma pronti a fermarsi subito dopo essere partiti, e magari anche a tornare indietro. Proprio così: in dissolvenza. Come al cinema, quando si avvicinano i titoli di coda. Il copione è già scritto, e anche il titolo: la Tav dei cachi. Puoi dir di sì, puoi dir di no, ma questa è la vita. Perché a ben vedere l’aspetto più sconcertante del modo in cui il governo, e in particolare il Movimento 5 Stelle, ha gestito fin qui il dossier Tav non è né l’intenzione di stracciare accordi internazionali in nome di una questione «identitaria», dunque puramente simbolica, né la pretesa di affidare una simile decisione all’analisi costi-benefici di un gruppo di tecnici, peraltro scelti tra gli studiosi da sempre contrari al progetto. L’aspetto più sorprendente e significativo, il dato rivelatore di tutta una concezione della politica, non è né l’uno né l’altro: è la loro compresenza, equivalenza e intercambiabilità; è il fatto che, per giustificare il no alla Tav, gli stessi cinquestelle possano sostenere alternativamente, o anche contemporaneamente, due tesi tra loro diametralmente opposte. E cioè che il loro no alla Tav sia una questione “identitaria”, addirittura sin dal 2005, come ribadito dal presidente della Camera, Roberto Fico, e che il no alla Tav dipenda esclusivamente dal risultato dell’analisi costi-benefici appena sfornata dall’apposita commissione, come ribadito dal presidente del Consiglio, Giuseppe Conte. Il provvisorio finale di ieri è la logica conclusione di tali illogiche premesse: con i cinquestelle a esultare per avere fermato l’opera e i leghisti a cantare vittoria per averla confermata. Ma sono mesi ormai che Luigi Di Maio e Danilo Toninelli passano da un’argomentazione all’altra perfettamente contraria come se niente fosse: un giorno ribadendo che la Tav non si farà mai e poi mai, e il giorno dopo assicurando di rimettersi totalmente e senza alcun pregiudizio all’esito dell’analisi costi-benefici. La novità caratteristica di questa fase non sta dunque nel fatto che dei rappresentanti del governo possano contraddirsi. La novità sta nel fatto che non lo avvertano come un problema degno della minima attenzione, che non ci facciano neppure caso, che gliene importi talmente poco da non ritenere di dovere nemmeno fingere che gliene importi. La possibilità di affermare contemporaneamente e con uguale convinzione due tesi opposte e perfettamente inconciliabili, passando ripetutamente dall’una all’altra senza che la discussione subisca per questo il minimo inciampo, perché nessuno se ne scandalizza e nemmeno se ne stupisce, è la vera, radicale e speriamo non irreversibile novità di questa stagione politica. Ed è destinata fare più danni di qualunque decisione su treni, conti pubblici, vaccini o qualsiasi altra cosa finisca domani al centro del dibattito, perché mina alla base la stessa possibilità di discuterne razionalmente.