A volerne parlare ancora, la scelta di quei politici che, come Walter Veltroni, tendono a costruire la propria immagine intorno alla proclamazione multiforme di valori ed emozioni edificanti, può essere analizzata anche oltre le disfide per comandare oggi i Ds del Lazio e, domani (semmai) il Partito democratico. Perché questa analisi può portare a comprendere meglio certe evoluzioni della politica europea degli ultimi lustri.
Potrebbe sembrare che il ricorso a una politica fortemente valoriale sia solo un espediente emozionale per creare coalizioni e alleanze in società sempre più “liquide” e poco coese. Oppure che si ricorra a questo perché in tal modo sono le capacità comunicative più che quelle organizzative e politiche a venire esaltate, in un processo per il quale meno si crede nell’organizzazione radicata di un partito (e meno la si vuole utilizzare) più si cerca di distinguersi dall’avversario sulla base di valori autonomi dalla politica novecentesca. E più si utilizzano così in mille modi i valori dichiarati. Se si sostiene questo non si mente, ma si dice solo una parte della verità. Infatti non ci sono dubbi che persino le scelte che massimamente inficiano la politica classica e i suoi strumenti hanno una spiegazione politica, che conviene sottolineare proprio in quanto nella politica si continua a credere. Andiamo al sodo: si prenda per esempio la seguente affermazione di John Smith, predecessore e maestro di Blair, prematuramente scomparso senza però avere omesso di influenzare il bravo Tony: “Per me il socialismo è in gran parte fatto di valori etici cristiani. La politica è un’attività morale. I valori dovrebbero trasparirvi in ogni momento”. Patrick Diamond, pensatore neolaburista, sostiene che il dibattito destra-sinistra ormai è fra mercato regolato e neoliberalismo (il che è tanto indiscutibile da essere poco descrittivo), ma poi aggiunge che sono importanti “i valori in cui incanalare il capitalismo”. Bene: questo è in sostanza il blairismo. Un’opzione distinta dalla socialdemocrazia, per la quale i valori contano, ma vengono dopo e in funzione della (non prima, o addirittura invece della) rappresentanza radicata del lavoro e della democrazia progressista. I valori, poi, sono i regolatori di un confronto fra diverse soggettività (di cui la socialdemocrazia è appunto una, quella di sinistra) intorno al capitalismo e la democrazia. Di conseguenza è sicuro che non sono i valori a “incanalare” il capitalismo, ma a farlo è appunto l’insediamento della socialdemocrazia, con annessi e connessi (programmi, alleati e sindacati in testa), dotato di una visione diversa di come debba essere il capitalismo per giovare alla democrazia e al benessere.
Non sembri, questa, una questione di filosofia scolastica socialdemocratica. La questione se vengano prima i valori o prima la soggettività, l’organizzazione, il dualismo capitale-lavoro è rilevante e tale rilevanza può essere illustrata con un banale esercizio: è credibile che il capitalismo senza un altro soggetto che si organizza in modo concorrente si lasci “incanalare”? La cosa appare altamente improbabile, e comunque è meglio evitare il rischio organizzandosi per prevenire che il capitalismo, per definizione sempre più preso da mille impegni, se ne dimentichi. Certo, Veltroni, come già dicevamo qui su Left Wing la scorsa settimana, ha ricevuto l’incoronazione a futuro leader del Partito democratico da un grande capitalista italiano. Ma è meglio non essere tanto buonisti da credere che De Benedetti abbia lo stesso affetto per tutti indistintamente. Magari a De Benedetti piace di Veltroni, appunto, la concezione della politica: bei libri umidificatori di pupille e festival del Cinema, senza troppi partiti radicati e autonomi tra i piedi.
Certo, anche Blair ha avuto una buona esperienza personale al riguardo: è indubbio che negli ultimi tempi del tardo impero thatcheriano, gli anni di John Major a Westminister, Rupert Murdoch ha apertamente sostenuto il New Labour. Ma, appunto, tanto terminale ed esangue appariva nel 1997 l’epigono della intransigente Maggie dinanzi alla vitalità di Blair che non appare ragionevole far assurgere la scelta del grande australiano a legge di sviluppo storico.
D’altro canto, è possibile che basti il richiamo ai valori, per quanto professionalmente ben confezionati come sanno confezionarli Blair e Veltroni, e per quanto sia diffusa la civiltà e la solidarietà nell’elettorato, a indurre delle maggioranze a votare la sinistra? L’esperienza degli interessi non conterà forse qualcosa? Si può davvero, come più o meno dice un vecchio adagio di divulgazione marxista, far marciare la storia sulla testa (per quanto piena di begli ideali) anziché sui piedi?
E a poco vale aggiungere, come fa Diamond alla frase testé riportata, che “l’immagine di una classe lavoratrice e capitalistica vincolati a condurre una diuturna lotta senza quartiere si è largamente dissolta”. La socialdemocrazia lo sa da un secolo che, almeno in Occidente, è possibile far cooperare i due schieramenti: sindacati e patronato, socialisti e capitalismo. Diciamo pure che la socialdemocrazia è nata apposta, e che il New Labour è molto più “new” del compromesso sociale fra le parti. Ma l’esperienza dice che a tal fine non basta porre bene “i valori”. Né essere e apparire probi e solidali come leader politici. Per ottenere quello che dice Diamond occorre indicare un modello di sviluppo con dentro produzioni a maggiore valore aggiunto, e non a mero risparmio dei costi nel processo produttivo. Perché così il costo, poniamo, dei diritti dei lavoratori e ancora di più dei disoccupati, un valore quant’altri mai, sarà meglio sopportabile. A prescindere dall’etica, l’interesse del capitale sarà componibile con quello del lavoratore.
Veltroni tenga conto di questo: non è così evidente che il capitalismo italiano nella sua interezza abbia recepito a tal punto i valori di solidarietà da voler perseguire questo tipo di sviluppo. Chissà, Veltroni magari pensa che invece questa battaglia sia vinta. Oppure l’opposto: egli crede che essa sia persa al punto che soltanto la predicazione edificante può scalfire un minimo il tetro scenario.
Non è nemmeno evidente che la produzione di qualità sia l’orizzonte capitalistico prescelto nel Regno Unito. Ma si tenga conto di una cosa: Blair è comunque riuscito in un intento non da poco. Di fronte aveva una destra liberista estrema che predicava che “la società non esiste”, esistono solo gli interessi singoli che invisibilmente conducono all’interesse di tutti. Quella destra per tanti motivi (dalla temperie ideologica anni Ottanta al sistema elettorale uninominale arcaico dei britannici, che permette di vincere con meno del 40% dei voti) aveva poco interesse a “civilizzarsi”. Il centro dell’elettorato era così negletto che, con la sua proposta politica, Blair avrebbe vinto in eterno se, con Cameron, anche i Tories non avessero cambiato registro. Questo è il punto: la politica del nostro continente ci dice che, non solo nel Regno Unito, la destra si è resa conto in molti modi dei limiti posti dalla società europea. Ci dice che essa difficilmente attaccherà stato sociale e diritti come già la vecchia Thatcher. Perché, tra l’altro, ormai gli ultimi lustri hanno dimostrato che ottimi risultati economici, da Londra a Helsinki, possono essere ottenuti senza smantellare i diritti, e anzi persino ricostruendoli in buona parte. Blair non è stato l’unico né il migliore nell’indurre la destra a cambiare. Ma certo anche lui è stato utile. Solo che difficilmente qualunque leader della sinistra, d’ora in poi, si troverà di fronte l’ideologismo declinante degli esangui imitatori della “lady di ferro”.
Lo stesso discorso vale verosimilmente anche per l’Italia del dopo-Berlusconi. Figuriamoci se, dalle colonne di qualche nostro giornale aduso al provincialismo cosmopolita, non verranno distribuite pagelle di modernità soltanto a chi, a destra, parlerà e agirà “alla Cameron”. Forse il partito democratico e chi lo guiderà dovranno inventarsi qualcos’altro. Tanto più un centrosinistra italiano deciso a riformare profondamente un modello produttivo fatto di conti della serva. E per questo speriamo riesca utile perfino questa nostra esortazione a puntate a “ritornare ai fondamentali”.