Le dimissioni di Giulio Tremonti segnano uno spartiacque nella vita del governo e nella politica italiana degli ultimi dieci anni. Quali che siano le scelte di Berlusconi, assai poco propenso a formalizzare la crisi, con la caduta del superministro dell’Economia nasce di fatto il Berlusconi 2. E questa volta, aggiungere il sottotitolo “la vendetta” non sarebbe solo una facile battuta. Ci sbaglieremo, ma fossimo nei panni di Gianfranco Fini aspetteremmo ancora qualche giorno prima di stappare lo spumante. Le dimissioni di Tremonti segnano uno spartiacque nella vita del paese perché rappresentano la prima vera svolta del berlusconismo. Dove questa svolta ci condurrà è ancora presto per dirlo (noi diremmo a elezioni anticipate subito dopo la manovra del super Primo ministro, naturalmente con il taglio delle tasse, ma è solo un’impressione) certo è che la svolta c’è stata e indietro non si torna. Giulio Tremonti non era infatti un ministro tecnico, sebbene del tecnico avesse tutti i difetti, a partire da quell’impolitica propensione al dileggio di alleati e avversari colpevoli di non seguirne le complesse strategie politico-economiche. Ma non è caduto per i molti difetti del suo carattere, né per l’altro terribile vizio del tecnico impolitico: il fanatismo intellettuale, l’incapacità di tollerare qualsivoglia invasione di campo da parte delle più rozze ragioni dei partiti all’interno dei suoi rigorosi schemi e delle sue complicate tabelle. Giulio Tremonti non era un tecnico, bensì il più politico dei ministri al governo ed è caduto soltanto perché nei suoi calcoli certo non poteva prevedere l’improvvisa malattia di Umberto Bossi. Tuttavia, anche l’accorto segretario della Lega avrebbe avuto qualche difficoltà a sostenerlo, perché la ragione di fondo dell’indebolimento del superministro sta in quei nove punti percentuali persi da Forza Italia alle ultime elezioni. La caduta di Giulio Tremonti segna uno spartiacque nella vita del paese perché segna la fine dell’unico tentativo di dare una strategia, un’identità e una bandiera al multiforme aggregato politico e sociale che va sotto il nome di Casa delle libertà. La linea Tremonti ha retto finché ha retto l’egemonia del primo partito della coalizione, finché ha tenuto l’asse con una Lega saldamente nelle mani del suo leader, finché ha resistito la leadership di Berlusconi, che ora è invece seriamente in discussione. La verità è che proprio nel momento in cui i principali partiti del centrosinistra si univano in una forza del 31 per cento, Forza Italia scendeva a percentuali da centrosinistra, con tutte le conseguenze del caso su coesione del governo e della maggioranza. E se questa non è una lezione per le forze che dovrebbero dare vita al partito riformista – la Forza Italia del centrosinistra, com’è stata battezzata proprio dal giornale che ne porta il marchio, il Riformista – davvero non sapremmo trovarne di migliori.