Domanda: avete mai sentito un politico tentare di sminuire il risultato elettorale del suo partito? Seconda domanda: avete mai sentito un politico sostenere pubblicamente l’inutilità del suo partito? Terza domanda: avete mai sentito un politico affermare che far nascere il suo partito è stato un errore? No, non lo avete sentito, né lo sentirete mai.
Ecco una buona ragione per appoggiare la nascita del partito riformista. L’ultima settimana ha dimostrato infatti al di là di ogni ragionevole dubbio e al di qua di ogni irragionevole dubbioso, che indietro non si può tornare. Al contrario, serve ora uno scatto in avanti. L’alternativa è il ritorno della competition e la babele di voci e posizioni che per tanto tempo hanno paralizzato la coalizione (per non parlare del governo, aspetto che però nel parlare del triciclo si tende singolarmente a trascurare) e che in questi giorni sono ricomparse minacciose, accompagnate da tanto fantasiose quanto bizzarre analisi del voto.
Sei mesi di lista unitaria hanno mostrato l’embrione di una forza in grado di offrire, per il semplice fatto di esistere, un argine alla frammentazione e al disfacimento del tessuto politico e civile del paese.
E se un italiano su tre ha deciso di votarla è soprattutto per la speranza che da quell’embrione nasca qualcosa di nuovo in grado di stabilizzare definitivamente il quadro politico. Certo, i partiti non si inventano. E non sarà facile, né sarebbe giusto, sciogliersi da un giorno all’altro in un nuovo soggetto politico senza accompagnare il processo con una discussione profonda e partecipata, né si possono saltare i necessari passagi intermedi.
Ma l’approdo non può che essere quello. Nessuna persona di buon senso, del resto, può seriamente prendere in considerazione l’ipotesi, a un anno dalle regionali e a due anni (se non meno) dalle politiche, di presentarsi agli elettori come il Colombo del Pascarella alla ciurma, distrutta da mesi di navigazione senza avvistare terra, dicendo semplicemente: “Vabbè, me so’ sbajato”.