Il 13 Giugno è stato il giorno del ritorno alla realtà. Dopo mesi di fantasiose rappresentazioni, gli italiani ci hanno restituito con il loro voto per il parlamento europeo l’immagine autentica del paese, e abbiamo scoperto che l’indignazione e il malcontento verso il governo erano meno profondi e diffusi del previsto.
Certo, il calo è forte (-4%) e la coalizione di Berlusconi arretra notevolmente rispetto alle politiche, trascinata in basso dalla crisi del suo leader. Il crollo di Forza Italia non fa volare An, che tuttavia – probabilmente anche grazie ai voti ex forzisti – riesce a non pagare più di uno 0,5 la nascita della “cosa nera”. Il che vuol dire, dopo Gerusalemme e voto agli immigrati, la riuscita di un’operazione non facile e non scontata quasi a costo zero. Guadagnano voti Udc, Lega e Socialisti. E’ dunque la vittoria del “partito della verifica”, che inevitabilmente produrrà l’intensificarsi della competition e l’inserimento nel dibattito del tema della leadership, in perfetta analogia con quanto accadde dopo le europee del ‘99 al centrosinistra allora al governo. Il bilancio è presto fatto: la sconfitta è arrivata, Berlusconi esce pesantemente ridimensionato anche dalla sfida delle preferenze, ma la temuta disfatta per ora è stata evitata. Nel centrosinistra, sebbene si attendesse un risultato più chiaro, il sorpasso ha un enorme valore simbolico: non era mai accaduto, nemmeno nel ‘96 (quando al contrario, giova ricordarlo, i voti del Polo e della Lega sommati superarono la maggioranza assoluta). Il triciclo, attaccato da sinistra, da destra e dall’interno, senza avere candidato i segretari di partito e con il suo leader a Bruxelles, ottiene il 31%, dato equivalente a quello ottenuto nel 2001 dai partiti che lo compongono. La seconda forza dell’Ulivo sono i verdi con il 2,5 %, ventinove punti percentuali sotto il listone. E la coppia Di Pietro Occhetto già medita la separazione. Certo deve essere stato duro per i tanti teorici della società civile armata e dell’intransigenza pacifista scoprire che il popolo della pace, come forza politica, semplicemente non esiste. Dopo un anno di guerra in Iraq, dopo le manifestazioni oceaniche, Abu Ghraib, la visita di Bush e i travagli del triciclo, le liste a sinistra di Uniti nell’Ulivo prendono gli stessi voti che avevano alle politiche, quando con loro c’era anche lo Sdi: il grande bisogno di “radicalità” e di “più sinistra” tanto enunciato in questi mesi si quantifica al momento del voto in un valore equivalente al partito di Boselli. Il centrosinistra esce dal voto più stabile, costruito intorno al triciclo e a Rifondazione, che vede la sua scelta di sposare la prospettiva di governo premiata dagli elettori. Ed è proprio questa la vera novità sistemica: il quadro politico italiano si è finalmente europeizzato, con una grande forza politica di centrosinistra intorno a cui costruire le alleanze più larghe.
Serve però un ultimo scatto. Il rischio che il triciclo venga lasciato in garage in vista delle regionali è concreto e già si odono i primi sussurri di chi vorrebbe un ritorno all’antico, all’eterna guerra civile nella coalizione. Ma dopo avere ottenuto la fiducia di un italiano su tre, tornare indietro non si può. Né è possibile rispolverare adesso i sogni occhettiani di una indefinibile costituente, se prima non si è dato corpo al patto sottoscritto dal 31.1 per cento degli elettori – e dal 70 per cento degli elettori di centrosinistra – per costruire un nuovo soggetto politico unitario. E’ il momento di rompere gli indugi: c’è bisogno di coraggio e determinazione, è necessario e urgente che la lista diventi soggetto politico, in grado di progettare e scegliere in modo democratico e partecipato la propria linea. C’è bisogno, per dirla con una sola semplice parola, di un partito.