Sul merito della questione c’è davvero poco da dire. Se il parlamento italiano, folgorato dal pacifismo, bocciasse il decreto di finanziamento delle nostre missioni di pace, i soldati dovrebbero abbandonare non solo l’Iraq, ma anche Bosnia, Kosovo, Albania, Eritrea, Etiopia. E certo la pace nel mondo non ne trarrebbe giovamento. Se a votare no fosse solo la sinistra, assisteremmo al paradosso di parlamentari che voterebbero contro missioni in gran parte volute, pensate e sostenute da loro stessi, regalandone a Berlusconi merito e prestigio. A fronte del rifiuto di far votare a parte la missione “Antica Babilonia” da parte del governo, la scelta di non votare ci pare dunque assai sensata e degna di lode.
Tuttavia non sarà facile resistere alle pressioni del vasto fronte del no, anche perché in molti stanno utilizzando questo delicato passaggio per strangolare nella culla la neonata lista unitaria. Tenendo il punto, il triciclo diventerebbe infatti, già dalla sua seconda settimana di vita, qualcosa di più che un cartello elettorale, configurandosi come un soggetto politico dotato di una sua compiuta identità, destinato a durare e a cambiare nel profondo gli assetti consolidati delle sue componenti. Lo stesso discorso vale ancor più per tutte quelle forze che finora hanno giocato sul loro potere di condizionamento (interno ed esterno) nei confronti del centrosinistra, che riceverebbero il primo significativo altolà. In gioco è dunque non solo la prospettiva del futuro partito riformista, ma l’autonomia della politica. Se la lista unitaria saprà resistere, renderà un egregio servizio a se stessa e al paese, e la politica italiana si lascerà finalmente alle spalle i lunghi anni di sovranità limitata. Se invece alla Camera il triciclo non riuscirà a cavarsi d’impaccio e cederà ai colpi di coda dei suoi vecchi tutori renitenti al pensionamento, il futuro si farà assai più grigio. Noi speriamo che se la cava.