La crisi economica del paese, dei suoi assetti industriali e del suo sistema creditizio tocca il cuore del capitalismo italiano: con il caso Parmalat, a pochi giorni dallo scandalo Cirio, entrano in crisi innanzi tutto le sue forme di autoregolazione e controllo, offrendo l’occasione al governo per tentare un’offensiva inquietante sull’ultima autorità indipendente rimasta in campo.
Quella che l’Economist ha definito la Enron europea non si svela all’interno di un laboratorio attrezzato, capace di isolare il virus per analizzarlo depurato da condizionamenti esterni. La coincidenza con il decreto salva Retequattro, infatti, si associa in modo ancor più stridente con quella dei tagli all’Alitalia, mentre un’ondata di contestazioni “selvagge” riduce ogni spazio residuo alla concertazione, per non dire di una qualsiasi forma di gestione politica dei conflitti. La crisi economica e l’impazzimento delle relazioni sociali, infine, sottopongono a ulteriore tensione un sistema politico già profondamente colpito dal fallimento della conferenza intergovernativa e dal conseguente divaricarsi delle sue opzioni di politica internazionale. Il tentativo da parte delle due coalizioni di darsi una forma più coerente con il nuovo scenario, attraverso la costituzione di liste unitarie alle prossime elezioni europee, rappresenta dunque l’unica strada per uscire dall’impasse e ridare centralità alla politica.
All’interno del centrodestra il cuore della partita, ancora una volta, è l’anomalia Berlusconi. L’unico possibile collante della futura aggregazione sta infatti nel desiderio di acquisire una posizione di forza per sfruttare (e forse per propiziare) la sua uscita di scena. Per il resto, tanto Fini quanto Casini e Follini appaiono da tempo impegnati a giocare per sé, nel tentativo di ricostituire un nesso virtuoso tra la propria forza politica (o la propria persona), l’interesse nazionale e il processo europeo. Diverso il caso del centrosinistra, dove nessuno sembra disporre di alternative credibili alla lista unitaria. Se questa dovesse fallire, o abortire ancora prima delle elezioni, nessun partito ne uscirebbe come ne era entrato ed ogni esito sarebbe possibile.
L’incapacità di articolare una posizione coerente con la strategia enunciata mostra ancora una volta la fragilità di ogni processo unitario a sinistra. Il teatro dell’assurdo che si sta svolgendo tra Boselli e Di Pietro ne è l’ultima, tetra manifestazione. E’ del tutto evidente che se il progetto del partito riformista è stato derubricato dall’agenda, l’adesione dell’Italia dei valori alla lista unitaria dovrebbe essere persino scontata. E scontata appare infatti a buona parte dell’elettorato di centrosinistra, nella misura in cui non percepisca alcun reale progetto alternativo nelle parole vaghissime di tanti dirigenti sul centro motore, la colonna portante o il nocciolo duro di non si capisce che cosa. Certo la convocazione prodiana per la convenzione di San Valentino non basterà ad affratellare dirigenti, quadri ed elettori attorno ad un progetto indistinto, che non è una coalizione e non è nemmeno un partito. Non a caso, sull’Unità, Iginio Ariemma e Andrea Ranieri, nel momento in cui esortano ad accogliere Occhetto e Di Pietro nella lista unitaria, propongono di ripartire nella definizione del programma dal manifesto di Prodi e dal documento programmatico di Milano. Due documenti che definire vaghi è già un forzarne il significato. Sembra di risentire le invocazioni cofferatiane al programma prima della definizione dei gruppi dirigenti, mai inveratesi in alcuna proposta chiaramente identificabile fuori della conservazione dello status quo politico, sociale e istituzionale. Ma la durezza della crisi e le divaricazioni del quadro internazionale dicono che oggi l’Italia, e con essa la sinistra, ferma non può stare. Il programma, il progetto e le leadership di una forza politica non si stabiliscono a tavolino, in belle frasi scritte su voluminosi quaderni di propaganda che non leggerà mai nessuno. Si costruiscono nel fuoco della battaglia politica e qui misurano la loro efficacia e la loro capacità di attrarre consenso. La forza del progetto riformista e la bontà del suo programma si misurerà dal modo in cui le forze che vogliono parteciparvi affronteranno gli sviluppi della crisi irachena, il processo di integrazione europea, il declino economico e le vertenze degli autoferrotranvieri. Tutto il resto, come cantava il poeta, è noia.