Torno a occuparmi di Giovanni Consorte, perché più si dipana la sua incredibile vicenda giudiziaria più è evidente ciò che su questo sito ho scritto diverse volte, a cominciare dalle ben note vicende finanziarie del 2005: sulla testa di Consorte continua a essere brandita una spada giudiziaria che ormai ha tutti gli estremi per essere definita intimidatoria e persecutoria, per un duplice fine. Il primo è quello che lo riguarda personalmente, ed è volto a farlo uscire per sempre da una professione di manager e finanziere che in decenni lo ha portato a grandi successi, che dispiacciono a chi pensa che la finanza nel nostro paese debba essere politicamente “amica” degli attuali equilibri di potere. Il secondo colpisce invece Consorte perché una parte dei Ds intenda: e si acconci a farsi barboncino della Super-Intesa vicina a Prodi, a Rutelli e all’attuale vertice confindustriale, ai Montezemolo e agli Abete. Dite che messa così la tesi è troppo esplicita, anzi esagerata e un cicinin violenta? Francamente, visto che è un anno e mezzo che leggo in lungo e in largo tutte le carte dei procedimenti che di volta in volta vengono aperti verso Consorte, affermo invece che la tesi è esposta al contrario con qualche ragguardevole sforzo di frenare la lingua, perché dovessi dire fino in fondo quel che penso di fronte a tanta inconsistenza strumentale incorrerei in estremi da codice penale, esito che è sempre consigliabile evitare.
Veniamo all’ultima: la maxi perquisizione disposta dai pm romani presso gli uffici dell’immobiliare Operae di Vittorio Casale, indagato con una decina di suoi manager per infedeltà alla propria azienda realizzata attraverso distrazione di fondi, mentre nei confronti di Consorte si procede per appropriazione indebita e false attestazioni sociali. Su che cosa verte, l’indagine romana? In buona sostanza, l’ipotesi è che con la cessione di 133 unità immobiliari di proprietà Unipol a Casale, Consorte abbia in realtà fatto un favore a quest’ultimo. Il quale glielo avrebbe restituito, riconoscendogli impropriamente a danno della sua stessa società 9,5 milioni di euro, su un affare immobiliare del tutto diverso. Perché sostengo che siamo in presenza di un vero e proprio delirio persecutorio? Per ragioni di fatto e di diritto.
Partiamo dai fatti. La cessione delle 133 unità immobiliari da Unipol a una società di Casale è tanto poco un favore fatto da Consorte all’acquirente, che l’Unipol registrò nella vendita una plusvalenza di ben 95 milioni di euro, su un prezzo totale di 260 milioni. Ora è ben difficile sostenere che il capoazienda di Unipol abbia fatto il danno della compagnia assicurativa, con una plusvalenza pari al 37% del realizzo. Quanto poi all’acquisto del tutto distinto da questa vicenda in cui si sarebbe manifestata la “riconoscenza” di Consorte, anche in tal caso le carte parlano chiaro. Un immobile sito a Bologna appartenente al Banco di Sicilia venne acquistato da una società privatamente partecipata da Consorte e altri, la Immobilstar, per una cifra di poco superiore ai 16 milioni di euro. Casale svolse nell’acquisto una regolare intermediazione, dichiarata e retribuita in 320mila euro. L’immobile fu poi successivamente venduto a un fondo immobiliare – denominato Red – facente capo alla famiglia Zucchi, per circa 26 milioni. Una rata del pagamento è stata anticipata da Casale alla società partecipata da Consorte, poiché il fondo immobiliare acquirente attendeva le prescritte autorizzazioni per operare. Ed è in questi 9,5 milioni anticipati, che la Procura ipotizza si sia manifestata la “riconoscenza “ di Casale. Senonché c’è la regolare distinta di pagamento successivamente effettuata dal fondo Red, a estinzione dell’anticipazione di Casale. Solo se non ci fosse il pagamento degli Zucchi – che anch’essi poi hanno rivenduto guadagnandoci – potrebbe reggere l’accusa di appropriazione indebita di Consorte ai danni di Operae. E dunque l’ipotesi non sta in piedi.
In termini di diritto: quella della procura di Roma è un’incredibile reiterazione d’indagine che viola il ne bis in idem, condotta con ancor più rumore dell’inchiesta che sulle stesse materie ha compiuto la procura di Milano, la quale ottenne spontaneamente dagli indagati gli stessi documenti questa volta spettacolarmente acquisiti da un pattuglione di finanzieri inviati alla sede romana di Operae. Della cessione del patrimonio immobiliare Unipol si è già infatti occupata in dettaglio la magistratura milanese, senza trovarvi alcunché di irregolare. E non solo essa. Alle stesse conclusioni del tutto positive è giunta la società di revisione Deloitte, incaricata da Unipol di accertare eventuali illeciti e infedeltà da parte dell’ex capoazienda Consorte. Nonché l’Isvap, l’autorità che vigila sulle assicurazioni.
In conclusione: Unipol non c’entra nulla e ci ha lautamente guadagnato, tutto era già stato esaminato, tutto è regolarmente periziato e registrato. Di conseguenza: il castello d’accusa viene montato per ragioni che con la giustizia non hanno nulla a che vedere. Bensì per colpire la nuova banca d’affari Intermedia messa in piedi da Consorte che continua a combattere per la propria innocenza coi pm, e non si vuole rassegnare a una pensione forzata. Guarda caso il nuovo fuoco giudiziario si accende il giorno prima dell’assemblea Intermedia che doveva autorizzare il suo aumento di capitale, per renderla operativa. All’indomani del pieno proscioglimento di Consorte a Perugia per il caso Castellano. E mentre la procura di Milano chiede affannosamente un patteggiamento spontaneo di Consorte, per non avere elementi in mano sufficienti a una richiesta di rinvio a giudizio che possa sfociare in qualcosa di diverso da una sconfitta per i pm.
E’ la strategia più volte vista, colpire e ricolpire per indurre l’indagato a chinare la testa e a rinunciare alle proprie ragioni. E, ancora una volta come nel 2005, essa si compie sui media attingendo alle divisioni interne del mondo cooperativo e dei Ds. L’intervista sul Sole 24 ore a Giovanni Doddoli, presidente di Legacoop Toscana – da sempre, con Turiddo Campaini, ostile alla strategia di crescita di Consorte – ne è stata la peggior conferma. Sono state ripetute le trite e ritrite banalità sul male di “una finanza svincolata dall’industria”, quelle che nel 2005 e da allora in avanti sono le parole d’ordine di riferimento del fronte Rutelli-Montezemolo-Abete di cui le procure si sono di fatto costituite braccio armato, nel plauso dei quotidiani confindustriali.
Viene lo sgomento a pensare che in realtà si tratti di un colossale regolamento di conti politico, che avviene per mano di giustizia e coi Ds in silenzio oggi come nel 2005. Quando Consorte fu accusato, per ragioni politiche e non perché fosse vero, di essere collegato alle scalate in Antonveneta e in Rcs. Per fargli pagare la crescita che aveva prodotto in Unipol, e per liberare il mercato italiano da un protagonista scomodo. E dire che rispetto al 2005 i Ds avrebbero ora argomenti per affermare, a differenza di quanto fecero allora, la propria estraneità alle accuse. Sono proprio gli argomenti che l’accanita difesa di Consorte ha da allora accumulato e sciorinato di fronte a ogni pm. Consorte non firmò alcun patto di scambio con Gnutti e Fiorani, per sostenerli in Antonveneta in cambio dell’appoggio su Bnl. Unipol manifestò il suo dissenso a che Hopa partecipasse alla scalata Antonveneta, e Gnutti dovette convenire che Hopa restasse equidistante tra l’Antonveneta degli olandesi di Abn e la Popolare di Lodi, poiché entrambe erano socie di Hopa stessa. Inoltre, all’epoca Consorte non aveva maturato ancora l’intenzione dell’opa su Bnl, che venne solo a fine giugno 2005, dopo il fallimento delle trattative con il Bbva. Tanto che la Popolare Italiana non deteneva alcuna azione della Bnl al momento del lancio dell’opa. E Consorte non ha avuto alcun ruolo nella tentata scalata di Ricucci a Rcs, né Unipol né alcuna società partecipata da Consorte hanno movimentato alcun titolo nella vicenda. Sarebbe bene che i Ds studiassero bene le evidenze documentali che Consorte ha prodotto a sua difesa. Perché difendendo lui difendono se stessi. Tacendo, e anzi in taluni casi compiacendo i suoi accusatori, si condannano essi stessi: all’irrilevanza, se non alla complicità in eventuali illeciti.
Ciò che ai Ds dovrebbe bruciare molto è la mistificazione dell’intera parabola della Unipol sotto Consorte. In dieci anni, Consorte l’ha risanata, condotta a produrre utili, fino a renderla il terzo gruppo assicurativo italiano. Con un obiettivo: crescere. E, per anni, Consorte le ha tentate tutte. Cercando senza successo il consenso del vecchio pilastro storico della finanza rossa, il Montepaschi di Siena. E la preda era anche allora Bnl. Oppure mirando a realizzare un ancor maggiore gruppo centroitaliano, che passasse anche per Capitalia. Se ne parlò dal 1999 al 2002. Poi le banche italiane che avevano conquistato Mediobanca iniziarono a “prendere le misure” a Consorte. Fecero pesare che Siena era anche nel patto di controllo di Generali, dunque ogni crescita congiunta con un altro soggetto assicurativo come Unipol era malvisto. E il Monte si decise a restar solo. Accrescendo la pressione avversa a Unipol anche “per linee interne”, attraverso i vertici toscani delle coop, che ancor oggi si vendicano. Consorte scoprì che per crescere era dura. La muraglia cinese del circuito neo-Mediobanca lo mandò a vuoto su Meliorbanca e Toro, sulla grande distribuzione di Esselunga. Per la Winthertur assicurazioni, Consorte dovette pagare carissimo. Di lì, Consorte trasse una lezione: bisognava provarci senza più procedere solamente col “capello in mano”. Ergo la decisione di rilevare gli immobiliaristi in Bnl, e il disegno di conquistare l’istituto romano tutto per Unipol. Le coop toscane dissentivano. Mps era contrarissimo. Ancor oggi, è questa la “sfida al cielo” che Consorte paga. A trinciare la Unipol di Consorte sono state due chele. In primis il partito di Rutelli, amico dei banchieri “attaccati” dalla strategia di crescita bolognese. Poi l’ex primo quotidiano d’Italia e i suoi collegati, che per mesi hanno chiesto al segretario Ds di consegnare la testa di D’Alema, ipotizzato come vero e colpevole referente di un’operazione che intanto le intercettazioni travolgevano.
Nel frattempo, è nata San-Intesa e nessun pm naturalmente fa caso ai raid di Zaleski su mezzo listino quotato, perché nel caso del franco-bresciano ovviamente i repentini colpi di mano borsistici sono finanza “sana”, anzi benedetta dalla sapienza biblica del professor Bazoli. Il quale sotto lo scudo prodiano non solo ha espugnato Torino, ma pesa sempre più sul futuro di bazzecole come Generali, Mediobanca e Telecom. E’ all’ininfluenza in tutte e ciascuna di tali partite non esattamente irrilevanti nell’orticello italiano, che i Ds si candidano se continuano a fingere che l’argomentata difesa di Consorte non li riguardi.