Il disegno di legge approvato dall’ultimo Consiglio dei ministri su proposta del Guardiasigilli Clemente Mastella non c’entra granché con il negazionismo e la Shoah. Se gli storici possono stare tranquilli, tutti gli altri lo possono un po’ meno. Nei giorni scorsi s’è fatto un gran parlare dell’opportunità di sanzionare penalmente le aberranti falsificazioni razziste, che sotto le spoglie di ipotesi storiografiche mettono in dubbio che vi sia mai stato l’orrore dei campi di sterminio. Il presidente iraniano sembra averne fatto addirittura una vergognosa bandiera, sotto la quale chiamare a raccolta l’antisemitismo internazionale. E proprio guardando all’uso politico del negazionismo taluni hanno espresso il loro favore per il disegno di legge Mastella, nonostante l’articolo 21 della Costituzione, quello sulla libera manifestazione del pensiero, ne soffrisse un po’.
Ma il fatto è – si diceva – che la proposta Mastella col negazionismo non c’entra granché. E soprattutto, l’articolo 21 ne soffre un po’ troppo. Il negazionismo, in verità, c’entra come c’entra qualsiasi “atto di discriminazione per motivi razziali, etici, nazionali o religiosi o fondati sull’identità sessuale o di genere”. Più precisamente ancora, perché non si creda che la legge penale italiana non sanzioni già quegli atti, c’entra come c’entra qualunque forma di diffusione di “idee fondate sulla superiorità o l’odio razziale o etnico” e come c’entra qualunque forma di incitamento a commettere atti di discriminazione. Le parole chiave, spiega la relazione illustrativa del ddl Mastella, sono “diffusione” e “incitamento”. Che sono ben più larghe e più comprensive di “propaganda” e “istigazione”, introdotte dal governo Berlusconi per moderare i termini dell’irsuto decreto legge 122 del 1993 – noto anche come decreto Mancino o decreto antinaziskin. In sostanza, Mastella si propone di ripristinare, anche nell’entità delle pene, la formulazione più aspra contenuta nel testo del ’93 – con la rilevante aggiunta delle forme di discriminazione basate sull’orientamento sessuale o sull’identità di genere.
In effetti, il decreto Mancino interveniva restrittivamente sulla legge 654 del 1975, che a sua volta interveniva restrittivamente sulla legge Scelba del ’52, attuativa del divieto costituzionale di ricostituzione del partito fascista e di apologia del fascismo. È da lì, è da quegli anni, e da questo albero genealogico, che viene infatti la punizione con la reclusione della diffusione “in qualsiasi modo, di idee fondate sulla superiorità o sull’odio razziale o etnico” (si noti: in qualsiasi modo). Rispetto alla legge del ’75, il decreto Mancino del ’93 aggiungeva alla reclusione una serie di pene accessorie, e sanzionava anche la manifestazione esteriore o l’ostentazione di emblemi o simboli delle associazioni che abbiano tra i propri scopi l’incitamento all’odio e alla discriminazione. (Che se uno ci pensa: toccare diritti fondamentali allo scopo di impedire l’esibizione di svastiche negli stadi…). Perché fosse chiaro lo spirito “liberale” di quella legge, l’allora ministro, in un’intervista al Sole 24 Ore, dichiarò severo: “Voglio punire il gesto, e anche il verbo” (si noti: e anche il verbo).
Siccome lui voleva punire il verbo, quattro ragazzi misero subito su una band e la chiamarono “A.D.L. 122”: Anti Decreto Legge 122. Primo disco: “Fuorilegge”. E testi come questo: “Perquisizioni a non finire sedi chiuse per bloccarci/ non ci avete spaventati non tentate di fermarci/ sento un suono nel cervello la pressione sta salendo/ non mi posso più fermare boia chi molla bisogna lottare”. Oppure, nuovo disco, come questo: “Croci cerchiate martelli incrociati/ musica e birra ci hanno accompagnati/ armata la mano nutrita la mente/ combatti il nemico della tua gente/ La rabbia che accompagnava il giusto fare/ esplode nelle risse con chi voleva fermare/ e allora cortei e manifestazioni/ ma anche amici persi nei loro anni migliori/ e i nostri bracci tesi per non dimenticare/ la forza di chi ci saprà guidare”. Ovviamente, in canzoni del genere non mancano mai i riferimenti ai valori e agli ideali (visto che, come il mondo sa, sono in crisi). Ma ostentate o no che fossero le idealità dei “bracci tesi” e delle croci cerchiate, nonostante il decreto Mancino, non fu affatto la polizia a scioglierli: essi si sciolsero da soli (salvo, ahimè, tornare a suonare nel 2006).
Ora, ci son due cose che non voglio fare, ironizzando sugli A.D.L 122. Una è sottovalutare fenomeni di odio razziale e di antisemitismo, riducendoli alle dimensioni di una band musicale; l’altra è, però, non sottovalutare nemmeno i guasti di una legge, che forse confida sulla ragionevolezza di chi dovrà applicarla – e magari anche un po’ disapplicarla, visto che presa alla lettera criminalizza troppe cose. Tornare alla formulazione Mancino, alla diffusione in qualsiasi modo in luogo della più specifica propaganda, e all’incitazione in luogo della più specifica istigazione, e aggiungere pure, per essere politicamente corretti, le discriminazioni a sfondo sessuale, significa infatti considerare reati non solo “i bracci tesi”, ma anche, per esempio, i discorsi infuocati di un imam e, peggio, un’associazione di mariti troppo maschilisti, e forse persino certi pronunciamenti omofobi di onorevoli nostrani. E i libri? Non ci vorrebbe la censura sui libri?
È la solita illusione: credere che si faccia più efficace la repressione di un fenomeno criminale semplicemente allargando l’area dei comportamenti da punire. Quando allarghi, peraltro, c’è sempre la tentazione di allargare ancora. Perché infatti considerare reato l’incitamento all’odio razziale, e non anche l’incitamento all’odio di classe – così ci liberiamo pure dei grilli di Sanguineti? In verità, una volta c’era, nel codice penale italiano, un articolo, il 415, che puniva l’istigazione all’odio di classe, ma la Corte costituzionale intervenne, nel 1974, per giudicarlo illegittimo, “nella parte in cui punisce chiunque pubblicamente istiga all’odio fra le classi sociali, in quanto il medesimo articolo non specifica che tale istigazione deve essere attuata in modo pericoloso per la pubblica tranquillità”. Orbene, quale specificazione contiene invece il ddl Mastella? Non intende esso colpire, come già la legge 122, la mera diffusione di idee discriminatorie, in qualsiasi modo attuata, e dunque indipendentemente da modalità o finalità, pericolose o meno? Non staremo allargando un po’ troppo, mettendo sotto protezione giuridica le opinioni salutari, e punendo penalmente la diffusione di opinioni pericolose? Nel sostenere il principio della più ampia libertà d’espressione, Stuart Mill osservava (giusto centoquarantotto anni fa) che le opinioni salutari, cioè mediamente razionali, sono tali anche perché si sono fatte valere, senza paura, in regime di libertà. Perché ora dovremmo temere che le nostre democrazie non abbiano più la forza sufficiente per estirpare la pianta dell’odio senza fare di tutte le erbe un fascio?