Mussiani

Se fino a oggi mai, su nessun giornale, ci è capitato di incontrare l’aggettivo “mussiano”, una ragione ci dovrà pur essere. Se nel paese in cui non si esita nemmeno a definirsi “teodem”, fino a oggi, non si è mai trovato nessuno che avesse il coraggio di definirsi “mussiano”, un motivo ci sarà. E noi questo motivo crediamo di averlo finalmente trovato, leggendo la mozione che candida Fabio Mussi alla segreteria dei Ds al prossimo congresso. Dove abbiamo letto testualmente: “La separazione tra finanza, economia e politica deve essere netta e chiara, come non è accaduto nel caso Unipol”. E a noi è tornato in mente proprio lui, Fabio Mussi. Ci è tornato in mente quel periodo terribile, quando il Corriere della sera e tutti i grandi giornali schieravano paginate su paginate, con intercettazioni dalla provenienza più o meno incerta, diciamo così, ma anche con fior di interviste. A frotte. Tutti a ripetere che occorreva separare politica e affari, tutti ad attaccare quei dirigenti dei Ds che non si inchinavano ai proprietari di quegli stessi giornali, in un intreccio tra politica, finanza e affari – questo sì! – che ancora grida vendetta al cielo. Quanti esponenti del centrosinistra e degli stessi Ds, in quel momento, facevano la fila davanti ai taccuini del Corriere e della Stampa per ripetere diligentemente il dettato sulla necessaria separazione tra politica e affari, unendosi alla loro campagna contro l’Unipol di Giovanni Consorte. Tanti. Quasi tutti. Ma non Mussi. Perché fino a quando l’opa di Unipol è rimasta in piedi, fino a quando c’è stata anche una sola probabilità su un milione che Giovanni Consorte ne uscisse vincitore, alle continue domande dei giornalisti Fabio Mussi, con la schiena dritta, stoicamente, sempre rispondeva: “Su questo non dico una parola”. E sarà meglio che pure noi ci comportiamo allo stesso modo, tacendo la parola che – a ripensarci – ci salirebbe alle labbra.