Finalmente, venerdì scorso, Marco Travaglio si è schierato dalla parte di Maurizio Belpietro. E tutto è divenuto chiaro. Il caso Sircana è solo l’ultimo episodio di un conflitto aperto da quindici anni. Ora che il confine è stato segnato, ognuno è chiamato a schierarsi: di là i nipotini del generale De Lorenzo, di qua lo Stato di diritto.
Nel 1967 il generale Giovanni De Lorenzo fu destituito da capo di stato maggiore dell’esercito per una vicenda che ha molte assonanze con le cronache di questi ultimi anni. Prima che un’inchiesta dell’Espresso rivelasse l’esistenza del piano Solo, accusandolo di avere architettato un colpo di stato nel luglio del ’64 assieme all’allora presidente della Repubblica Antonio Segni, a causare l’allontanamento del generale bastò l’emergere delle reali attività del Sifar, il servizio segreto militare che per dieci anni era stato diretto prima dallo stesso De Lorenzo e poi da uomini di sua fiducia. Attività che consistevano nella schedatura di migliaia di esponenti politici e personalità pubbliche di ogni genere, attraverso lo spionaggio e l’uso delle intercettazioni telefoniche, come il senatore a vita Ferruccio Parri denunciò in parlamento nel gennaio del 1967.
Trenta anni dopo, le uniche intercettazioni telefoniche e gli unici verbali d’interrogatorio che non abbiamo avuto il piacere di leggere sui giornali in tempo reale, con rare eccezioni, sono quelli dell’inchiesta che ha visto arrestare altissimi dirigenti di Telecom Italia e del Sismi. In compenso, negli ultimi due anni almeno, abbiamo letto con dovizia di dettagli le conversazioni del governatore della Banca d’Italia e del segretario dei Ds, gli interrogatori del principe di Savoia e le scabrose ricostruzioni sulle notti del portavoce di un ministro degli Esteri. Un crescendo morboso che ha origine tra la primavera e l’estate del 2005, con la campagna di stampa condotta dal Corriere della sera contro gli avversari – in campo politico e finanziario – della cordata di imprenditori prevalsa all’interno del patto di sindacato Rcs alla fine del 2004. Quando si decide la sostituzione di Stefano Folli con Paolo Mieli alla guida del quotidiano e l’emarginazione dalle pagine economiche del giornalista Massimo Mucchetti, che si scoprirà poi tra le vittime dello spionaggio orchestrato dai vertici della security Telecom. Nella cordata che alla fine del 2004 prepara con tanta cura le munizioni per lo scontro dell’anno successivo, va da sé, c’è l’azionista di controllo di Telecom Italia: Marco Tronchetti Provera.
E oggi, quel Corriere che in questi due anni ha recapitato ai suoi lettori venti pagine al giorno sugli ammiccamenti notturni della signora Fazio e sui frivoli sms di Anna Falchi, senza lasciarsi sfuggire l’occasione per ironizzare sullo stile dei primi e sul numero di punti esclamativi dei secondi, s’interroga dolente sull’avvento di “fangopoli”: da dove verrà mai questa spazzatura, si domanda il quotidiano della nostra borghesia liberale, che intorbida le limpide acque della nostra libera informazione? Superior stabat lupus.
Nel frattempo, però, il quotidiano di via Solferino dà ampio risalto alle proteste dei giornali di destra contro la stretta annunciata dal garante della privacy, secondo il principio cardine del terzismo: non fare agli altri quello che altri possono fare per te. Il ministro degli Interni Giuliano Amato, invece, si dice favorevole a riprendere il percorso del disegno di legge Mastella sulle intercettazioni. Lo stesso Amato che pochi mesi fa, approvando la decisione del sindaco di Roma Walter Veltroni di combattere i puttanieri con lo sputtanamento delle telecamere mobili, però, dichiarava fieramente che “quando si cita la privacy a difesa di uno squallido maschio che gira per la Salaria alla ricerca di ragazze dalle quali ottenere a pagamento ciò che non sa ottenere altrimenti, beh, della sua privacy mi interessa ben poco”. E perché mai, allora, il direttore del Giornale non avrebbe dovuto pubblicare l’intercettazione di quel fotografo intento a pedinare Silvio Sircana, vantandosi al telefono di averlo sorpreso in situazioni compromettenti? Perché mai non avrebbe dovuto pubblicare oggi quell’intercettazione del settembre 2006, guarda caso proprio i giorni dello scontro più aspro tra Romano Prodi e Marco Tronchetti Provera, culminato nelle dimissioni di Angelo Rovati? Travaglio non ha dubbi in proposito, e infatti si schiera al fianco di Belpietro. Furio Colombo, anche lui in nome della libertà di stampa, si unisce alle proteste di Libero e del Giornale contro il garante della privacy. Il Medioevo in armi.
Non si tratta di una gigantesca cospirazione. Si tratta di un fenomeno molto più grave e profondo: una malattia culturale che dagli anni Novanta, da Mani pulite in avanti, ha demolito gli anticorpi della sinistra. E riesce difficile, oggi, non dare ragione a Flavio Briatore, quando si stupisce della tardiva indignazione di tanti, dinanzi al caso Sircana. Non si può partecipare all’allegro banchetto della spazzatura, quando le vittime sono il governatore della Banca d’Italia o l’ultimo spregiudicato finanziere, o magari qualche “squallido maschio che gira per la Salaria”, e poi adontarsi quando si scopre che tra le vittime c’è il portavoce del governo.
Occorre pubblicare tutto, grida infatti la santa alleanza della spazzatura, perché ogni forma di selezione equivale a censura e manipolazione. Come se le intercettazioni e i verbali che riempiono le pagine dei giornali sgorgassero naturalmente dalle montagne, quali ruscelli incontaminati. Come se ognuno di questi dossier cadesse dagli alberi come un frutto maturo, obbedendo soltanto al dettato delle stagioni. Come se la spazzatura che da anni intossica il nostro dibattito pubblico non venisse già accuratamente selezionata, preconfezionata, manipolata e diffusa ad arte, in tempi e modi accuratamente prestabiliti. Se questa è la libertà di stampa in Italia, forse i giornalisti dovrebbero porsi qualche domanda sulla natura del loro mestiere. Se questa è la libertà di stampa in Italia, forse sarebbe tempo che gli storici si domandassero che cosa è successo a questo paese, da Mani pulite in avanti. Se questa è la libertà di stampa in Italia, certo è che bisognerà riabilitare al più presto il generale De Lorenzo.