L’ obiezione di coscienza non è necessariamente basata su principi politici; essa può essere fondata su principi religiosi o di altro genere, a seconda dell’ordinamento costituzionale. La disobbedienza civile è un appello a una concezione di giustizia condivisa dalla comunità, mentre l’obiezione di coscienza può avere altri motivi. Ad esempio, assumendo che i primi cristiani non avrebbero giustificato il loro rifiuto di osservare i riti religiosi dell’impero per ragioni di giustizia, ma semplicemente perché erano contrari alle loro convinzioni religiose, la loro protesta non sarebbe stata politica […]. L’obiezione di coscienza può tuttavia essere fondata su principi politici. Ci si può rifiutare di rispettare una legge se si pensa che essa è tanto ingiusta che osservarla è fuori questione. Ciò accadrebbe se, ad esempio, la legge dovesse comandarci di ridurre qualcun altro in schiavitù, o ci richiedesse di sottometterci a un destino simile. Queste sono patenti violazioni dei principi politici riconosciuti.
Trovare la giusta via è un problema difficile quando alcuni fanno appello a principi religiosi per rifiutarsi di compiere azioni che, a quanto sembra, sono richieste dai principi della giustizia politica […]. C’è la tentazione di affermare che il diritto deve sempre rispettare i dettami della coscienza, ma ciò non può essere giusto. Come abbiamo visto nel caso degli intolleranti, l’ordinamento giuridico deve regolare il perseguimento da parte degli uomini dei loro interessi religiosi, in modo da realizzare il principio dell’eguale libertà; ed esso può certamente proibire pratiche religiose quali, per prendere un caso limite, i sacrifici umani. Né religiosità né ragioni di coscienza sono sufficienti a proteggere questa pratica. Una teoria della giustizia deve decidere, a partire dal proprio punto di vista, il modo in cui vanno trattati coloro che dissentono da essa.
(John Rawls, Una teoria della giustizia)
a cura di Massimo Adinolfi