La lettura della nota impegnativa dei vescovi e le polemiche che ne sono seguite costringono ognuno di noi a riflettere. Riflettere sul Partito democratico, sulla cultura politica da cui dovrà scaturire, sul modo concreto in cui questo nuovo partito, sin dalla sua nascita, dovrà affrontare un tema antico e complesso quale il rapporto tra fede e impegno politico. Il che per noi significa riflettere innanzi tutto sul presidente Bartlet, sulla lettera dei sessanta parlamentari cattolici della Margherita e su Palmiro Togliatti.
In quella che è forse la puntata più bella di tutto il telefilm, il season finale della seconda serie di West Wing, al presidente Bartlet ne sono successe parecchie: rischia l’impeachment per avere mentito alla nazione, il suo vice Hoynes è pronto a subentrare e soprattutto la sua anziana segretaria è morta in un assurdo incidente d’auto. Terminata la cerimonia funebre, prima di andare alla conferenza stampa in cui annuncerà l’intenzione di non ricandidarsi, rimasto solo nella cattedrale, Bartlet si rivolge direttamente a Dio. In un crescendo di rabbia e indignazione, il presidente sale verso l’altare e, in latino, manda letteralmente al diavolo il padreterno. E prima di uscire, con un ultimo gesto blasfemo, spegne una sigarette sul pavimento della cattedrale. Ma dopo questo sfogo succede qualcosa. Ne ha scritto tempo fa, qui, Marco Beccaria: “Bartlet capisce che Dio, per agire nella storia, non si affida ai miracoli. Si affida agli esseri umani. Si affida alle ‘signora Landingham’. Si affida ai ‘Josiah Bartlet’. E quando, sulle note di Brothers in Arms dei Dire Straits, giunge bagnato fradicio alla sala stampa dove, prevedibilmente, verrà crocifisso dai giornalisti per il suo presunto peccato di omissione nel confessare per tempo le sue condizioni di salute, si capisce che ha deciso di annunciare che, nonostante tutto quel che gli sta succedendo, si ricandiderà, per riprendere la sua lotta non più contro Dio, ma contro la voglia di arrendersi. Contro la disperazione. Contro il principio miracolistico (e molto poco cattolico) di un Dio che intervenga al posto degli uomini e della loro responsabilità a cavarli d’impiccio, a salvarli per la fede e non per le opere”.
Dunque Bartlet fa la cosa giusta grazie alla sua fede. Dunque non ha senso chiedere in nome della laicità che quella fede venga lasciata fuori dalla sfera della decisione politica. In quel momento, al contrario, Bartlet innalza al livello più alto la politica, facendone uno strumento con cui presentarsi di fronte a Dio: il presidente (e con lui la comunità che egli rappresenta, dal suo staff ai suoi elettori) trova nella forza delle sue azioni, nella sua capacità creatrice, la risposta alla domanda fondamentale: cosa è giusto fare. Lo fa in un rapporto dialettico, politico, con il sentimento religioso. Lo fa risolvendo individualmente il tema della laicità con la scelta di mettere al centro, per dirla con Beccaria, “le opere” e non la fede, che diventa così non fonte di precetti, ma sistema di valori in cui trovare la forza per l’azione. Sapendo che è sulla base di quelle opere che sarà giudicato. Nella scelta di ricandidarsi Bartlet si riconcilia non solo con Dio, ma innanzi tutto con la politica, di cui riafferma il primato.
“Il politico in atto è un creatore, un suscitatore, ma né crea dal nulla, né si muove nel vuoto torbido dei suoi desideri e sogni – scriveva Gramsci – Applicare la volontà alla creazione di un nuovo equilibrio delle forze realmente esistenti ed operanti, fondandosi su quella determinata forza che si ritiene progressiva, e potenziandola per farla trionfare è sempre muoversi sul terreno della realtà effettuale, ma per dominarla e superarla (o contribuire a ciò)”.
La lettera che sessanta parlamentari della Margherita hanno scritto in difesa della laicità dello stato, tempo fa, si concludeva così: “Difendiamo la libertà della Chiesa e la sua missione che in questo campo consiste nell’educare le coscienze e illuminarle, presentando ai giovani le ragioni che rendono ineguagliabilmente bella la scelta di un sacramento che esalta il dono di sé nella fedeltà e nell’amore responsabile tra un uomo e una donna. Chiediamo, proprio nel rispetto di quella missione, che non si metta in dubbio la laicità delle istituzioni, e la nostra responsabilità di legislatori cui tocca il compito di legiferare per tutti”.
Non c’è dubbio che quella lettera è diventata uno dei documenti fondativi del nuovo partito ed è un peccato che una discussione analoga non sia avvenuta nei Ds, dove la questione della laicità è stata prima oggetto di polemiche strumentali alla lotta interna, per essere poi affidata alla solita, banalizzante “sintesi unitaria” delle formulette di comodo, che a quanto pare non ha prodotto né l’unità né alcuna sintesi degna di essere ricordata. E’ un peccato che una discussione analoga a quella nata nella Margherita non si sia sviluppata nei Ds, non a partire dall’ultimo articolo apparso su Repubblica a firma di qualche intellettuale alla moda, ma dal celebre intervento di Palmiro Togliatti sull’articolo 7 della Costituzione, che qui abbiamo più volte ripubblicato.
Il leader del Pci scelse allora la strada della “pace religiosa” smarcandosi dalla battaglia dei socialisti e aprendo un’aspra discussione nel suo partito. Una pace religiosa che si era cementata nella guerra partigiana – “Vedemmo infatti nelle nostre unità partigiane operai cattolici affratellati con militanti comunisti e socialisti; vedemmo nelle unità comandate dai migliori tra i nostri capi partigiani, i cappellani militari, sacerdoti, frati, accettare la stessa nostra disciplina di lotta” – e che andava salvaguardata ad ogni costo: “Io ritengo che la classe operaia, che noi qui rappresentiamo, o almeno quella parte di lavoratori che è rappresentata da noi, sia interessata a che sia mantenuta e rafforzata la unità morale e politica della Nazione, sulla base di una esigenza di rinnovamento sociale e politico profondo”.
Allora come oggi la scelta di arretrare era vista come un cedimento, uno spostamento a destra (“Che cosa è destra e che cosa è sinistra non è sempre facile dirlo in politica” risponde Togliatti) o peggio, come la perdita irreparabile della propria identità. A rileggere i resoconti del dibattito parlamentare impressiona come gli argomenti dei laici di allora siano simili a quelli di oggi. A cambiare, purtroppo, è la risposta.
Togliatti, prima di chiudere il suo discorso, chiede un supplemento di tempo per rispondere a quegli argomenti. E lo fa così: “La nostra lotta è lotta per la rinascita del nostro Paese, per il suo rinnovamento politico, economico e sociale. In questa lotta noi vogliamo l’unità dei lavoratori, prima di tutto, e attorno ad essa, vogliamo si realizzi l’unità politica e morale di tutta la Nazione. Disperdiamo le ombre le quali impediscono la realizzazione di questa unità! Dando il voto che diamo, noi non sacrifichiamo, dunque, nulla di noi stessi; anzi, siamo coerenti con noi stessi sino all’ultimo. Siamo oggi quello che siamo stati in tutta la lotta di liberazione e in tutto il periodo di profonda crisi e di ricostruzione, apertosi dopo la fine della guerra. Siamo oggi quel che saremo domani, nella lotta che condurremo insieme a voi, accanto a voi – se volete – o in contrasto con voi, per la ricostruzione, il rinnovamento, la rinascita d’Italia. Siamo convinti, dando il nostro voto all’articolo che ci viene presentato, di compiere il nostro dovere verso la classe operaia e le classi lavoratrici, verso il popolo italiano, verso la democrazia e la Repubblica, verso la nostra Patria!”.
Queste sono le riflessioni suscitate in noi dalla nota della Cei e dalle successive polemiche, che toccano il cuore di quel progetto che chiamiamo Partito democratico. Speriamo che i suoi dirigenti – come il presidente Bartlet, come i sessanta parlamentari cattolico-democratici che firmarono quella splendida lettera e come Palmiro Togliatti – sappiano dimostrarsi all’altezza della sfida.