Perché non la garzantina, mi sono detto. Abbattuti i costi grazie alle iniziative editoriali che inondano le edicole, si potrebbe distribuire a tutti i delegati ai congressi di Ds e Margherita che si apriranno la prossima settimana copia della garzantina universale, invitandoli a scegliere dal volume quindici personalità a testa. I primi dieci andrebbero a formare, forti di una solida legittimazione congressuale, il mausoleo del futuro Partito democratico. Si può anche pensare di ponderare i risultati, includendovi le quote rosa, oppure richiedendo che almeno un terzo delle personalità indicate sia nato dopo il 1920, così da svecchiare un po’ i ranghi. Il corso mi sembra infatti del tutto identico: come in casa editrice aggiornano continuamente il volume, includendovi gli ultimi arrivi (per dire: vi hanno già trovato posto personalità come Roberto Castelli e Francesco Storace), così anche la nascita del Partito democratico sembra accompagnarsi al tentativo un po’ affannoso di ringiovanire l’albo dei padri nobili. Nobili ma putativi, cioè reputati tali: qualunque cosa loro, i padri, abbiano potuto pensare o forse pensino oggi, nel cielo irenico dove viene rappresentato questo non indispensabile prologo.
Ora, non è che non si debbano fare i conti con la storia, ma sono molti i modi in cui lo si può fare. Nietzsche, com’è noto, ne distingueva tre. Si può fare storia in senso monumentale, in senso antiquario, oppure in senso critico. Si possono erigere statue, si possono custodire cimeli, si possono scovare le pulci. Ma comunque si faccia, non bisogna farsene una malattia. Perché di storia ci si può persino ammalare, perché la storia può essere persino una malattia.
È facile, peraltro, diagnosticarla. L’uomo è infatti l’animale che ricorda, ma è anche l’animale che dimentica. Ora, “immaginatevi l’esempio estremo, un uomo che non possedesse affatto la forza di dimenticare”, fantasticava Nietzsche; immaginatevi quale incubo sarebbe una vita condannata a ricordare ogni cosa, e incapace del tutto di dimenticare. Qualche tempo dopo uno scrittore argentino se lo immaginò davvero, un simile uomo. Ireneo Funes, si chiamava. Borges, presago, lo descrisse quasi come un Pantheon, ma assai funereo: “Monumentale come il bronzo, ma antico come l’Egitto”. Nel suo vertiginoso mondo, che non era più vasto della stanza in cui ancor giovane s’era rinchiuso, e in cui trovava un posto incancellabile qualunque cosa fosse trascorsa dinanzi ai suoi occhi, non trovava però posto alcuna idea generale. E si capisce: le idee generali riassumono e cancellano, mettono in evidenza un aspetto, e tralasciano gli altri. Soprattutto, hanno uno scopo pratico: servono l’azione, e guardano al futuro. “Ad ogni azione occorre l’oblio”, scriveva infatti Nietzsche. E continuava: “E’ possibile vivere quasi senza ricordare […], ma è del tutto impossibile vivere in generale senza dimenticare”. Borges ebbe certamente a mente queste sue parole. È una lunga metafora dell’insonnia, il mio racconto – spiegò in premessa. E Nietzsche: “Vi è un grado di insonnia, di ruminazione, di senso storico, in cui l’essere vivente viene danneggiato e alla fine va in rovina, sia esso un uomo, un popolo o una civiltà”. O, ahimè, anche un partito. (Di passata: Funes morì a soli diciannove anni. Non è una fine che ci si possa augurare).
A differenza di Funes “el memorioso”, il Partito democratico, per fortuna, non è condannato a ricordare: il che non significa che debba buttare tutto quello che appartiene al passato ma, molto più semplicemente, che non deve cominciare da lì. E invece pare che non si possa cominciare se non dal già cominciato, anzi: dal già usato e abusato. È vero che l’ermeneutica, cioè il linguaggio storico che la cultura europea ha più lungamente parlato nel corso del Novecento, insegna proprio questo: che non c’è alcun inizio autentico, se non entro una storia e una tradizione, ma questo non vuol dire affatto che siamo interamente consegnati a questa tradizione. Capisco nei confronti della natura, ma almeno nella storia lasciamo che non si debba riutilizzare tutto.
Prima ho ricordato l’esempio di Nietzsche e di Borges, ora voglio proporre anch’io la mia piccola immaginazione. Immaginate dunque di compiere un passo alla volta, senza esagerare. Ma immaginate anche che al prossimo passo svolterete l’angolo. E che dopo volgerete lo sguardo indietro, al cammino già fatto: il paesaggio che osserverete sarà completamente mutato, anche se è soltanto un piccolo passo quello che avrete compiuto. Perché il passo della storia cambia prospettiva. Perché è un passo effettivamente storico proprio in quanto cambia le prospettive. Ma questo l’immagine suggerisce anche: che non è il caso di pretendere di riassestare il passato prima di girare l’angolo; piuttosto, il passato verrà inquadrato in una nuova prospettiva in conseguenza e non in premessa di un simile passo. È vero dunque che non sarete arrivati lì dove siete se non grazie ai passi più o meno lunghi che avrete compiuto sin lì, ma è vero anche che il cammino della storia presenta di queste svolte, di questi cambiamenti. Qualcosa verrà riaggiustato, magari anche con una certa quota di ingiustizia storica (la storia non è mica sempre giusta) che solo la direzione intrapresa potrà in parte riscattare; qualcos’altro inevitabilmente cadrà nell’oblio, e anche questo non è detto che sia sempre giusto. Ma è soltanto così che si riprende il passo e ci si mette su nuovi sentieri. Se davvero li si vuole intraprendere, beninteso.