Apocalisse democratica

E’ arrivata l’apocalisse, ci dicono. E deve essere arrivata davvero, perché stanno tornando tutti. In televisione, naturalmente. Prima è toccato a Michele Santoro. Per la verità questo è successo già da un po’, tanto che abbiamo quasi dimenticato che per un lungo periodo era stato assente dalla tv. Poi è tornato Biagi. E adesso tornerà pure Luttazzi, ospite di Biagi. Non dubitiamo che presto tornerà anche Sabina Guzzanti, magari intervistata da Biagi, nella trasmissione di Santoro. Perché evidentemente l’effetto degli epurati Rai si moltiplica esponenzialmente. Intanto, però, è tornato pure Gianfranco Funari, in prima serata su Rai Uno. Lui nell’editto di Sofia non c’era, ma la fama da incontrollabile predicatore colma ampiamente la lacuna, soprattutto in prima serata su Rai Uno. “Apocalypse Show” (in cui per circa un centinaio di volte viene ricordato che il 26 maggio ci sarà la fine del mondo e “se non lo sapevate, adesso lo sapete, perché ve l’ha detto la televisione”, oh yeah) è in tutto e per tutto un programma di Diego Cugia, tanto che a tratti ci si aspetta l’arrivo di Celentano, solo che invece è condotto da Funari e l’effetto finale è a metà tra una televendita e un varietà degli anni Sessanta (il che non è necessariamente un difetto). Anche Celentano, peraltro, aveva fatto in tempo a tornare in tv, e per non interrompere il rito propiziatorio aveva ospitato Santoro e poi la Guzzanti. A questo punto manca solo che Luciano Rispoli torni su La7 e poi dovremmo essere a posto (e adesso che la Telecom è passata di mano, non disperiamo che l’evento possa accadere presto). Se per caso abbiamo dimenticato qualcuno, non tarderanno a ricordarcelo. Probabilmente con un’intervista di Santoro nella trasmissione di Biagi in collegamento con Luttazzi. Se questa non fosse un’epoca di grandi cambiamenti – come ci dicono – penseremmo di essere in piena restaurazione. Ma se questa, invece, è davvero l’apocalisse come non ce l’hanno mai raccontata, possiamo dire che non ci dispiace affatto: non c’è niente di meglio che smettere di parlare delle cose e guardarle in faccia veramente. E’ un concetto semplice, quasi banale, che le ragazze imparano intorno ai sedici anni, quando smettono di fantasticare sugli uomini e cominciano a frequentarli. Con animi più sereni le trasmissioni – nel bene o nel male – appaiono quel che erano prima di diventare baluardi della democrazia; i conduttori – nel bene o nel male – appaiono quel che erano prima di diventare paladini della libertà di stampa; e le discussioni al riguardo appaiono quel che sono diventate nella maggior parte dei casi: un’inutile spreco di tempo. L’idea è talmente semplice e risolutiva che, se non fossimo impegnate a tifare per i candidati che preferiamo, consiglieremmo di usare lo stesso metodo anche in politica. E più che mai per la scelta del leader del Partito democratico. Consiglieremmo cioè di smettere di perdere tempo in guerre fratricide, campagne di stampa ed endorsement di ogni tipo (soprattutto di un solo tipo, per la verità) e lasciare che questi politici – a turno – dimostrino quel che sanno fare per qualche tempo. Tipo un paio di settimane. Non ne occorrono di più per rendersi conto dell’inadeguatezza di un uomo, soprattutto di un uomo politico. In questo le donne sono più brave. Per dire, Ségolène ha retto per più di un anno. E guardate Hillary, che sta reggendo ormai da più di tre lustri. E’ vero che in altri tempi, altri schieramenti e finanche altri paesi hanno impiegato ben più di due settimane per rendersi conto della pochezza degli uomini che avevano scelto. Ma stiamo pur sempre parlando della sinistra italiana.