Sin City

Il caldo è sempre spaventosamente caldo, il condizionatore è sempre guasto e la pioggia che squarcia la notte – perché a Sin City è sempre notte – è calda e appiccicosa come sudore. Questo è il film che Robert Rodriguez e Frank Miller, con l’aiuto di Quentin Tarantino, portano nelle sale americane il primo aprile. Tratto da quel fumetto, Sin City, che è uno dei più grandi capolavori dello stesso Frank Miller, autore divenuto celebre già negli anni ottanta per l’autentica reinvenzione del personaggio di Batman compiuta nel suo splendido “Il ritorno del cavaliere oscuro”. Se avete in mente quel vecchio telefilm in cui il filantropico Bruce Wayne sconfiggeva i cattivi a cazzotti senza mai ammazzare una mosca, simile più a un film di Bud Spencer che a una qualsiasi serie americana di oggi, quell’autentico pezzo di modernariato televisivo in cui prima di scalare la parete di un palazzo il nostro eroe si fermava, guardava in camera e ripeteva: “Mi raccomando bambini, voi non fatelo a casa”, ecco, non potreste immaginare niente di più diverso. Perché anche nella Gotham City del “Ritorno del Cavaliere oscuro” è sempre notte, la pioggia è sempre calda e appiccicosa come sudore e il nostro eroe è un disadattato con seri problemi mentali, violento e soprattutto – e per l’appunto – oscuro.
Sin City è la massima rappresentazione grafica e narrativa di questa oscurità. Il debito nei confronti di Chandler, del cinema e della letteratura noir, hard-boiled e relative filiazioni sottoculturali è evidente. In Sin City però la visione della vita e della società moderna come somma di contrasti stridenti si risolve in un nuovo tipo di bianco e nero. Le figure si stagliano sulla pagina come se un gigantesco riflettore fosse acceso alle loro spalle, facendole emergere dall’oscurità dei bassifondi senza più inutili sfumature, nella loro caratterizzazione psicologica così come nel disegno. L’emarginato al centro della storia è di una bruttezza mostruosa. E’ un alcolizzato, uno spostato e un violento. I personaggi che gli ruotano attorno sono non meno mostruosi. In questa cupa visione del mondo non c’è posto per la speranza né per sottigliezze politiche, sociali o filosofiche. Da Batman a Marv si è compiuto il percorso del supereroe idealista, senza macchia e senza paura, attraverso la città del peccato. Il protagonista è ormai un giustiziere assetato di vendetta e deciso a ottenerla con ogni mezzo, che batte le strade della sua Sin City come un lupo affamato in cerca di preda. Se le Gangs of New York di Scorsese raccontavano “l’America che è nata nelle strade”, il fumetto di Miller racconta l’America che nelle strade è stata abbandonata, ci è cresciuta e si è incattivita, ma non per questo ha alcuna ansia di riscatto sociale, religioso o morale. Al contrario, in quelle strade sempre più degradate, Marv vuole sprofondare. L’antieroe di Sin City cerca la sua oscura catarsi nella violenza gratuita e nella vendetta più spietata, con il dichiarato obiettivo di essere nuovamente inghiottito nel buio di quell’unica, nera macchia di inchiostro da cui un attimo di luce improvvisa e inspiegabile – i favori di una splendida prostituta misteriosamente assassinata – lo ha costretto a emergere.