Se nel 1984 William Gibson non avesse scritto Neuromancer probabilmente ci saremmo risparmiati la noiosa trilogia di Matrix e forse anche qualche balzana teoria noglobal, ma ci saremmo persi il capolavoro della letteratura cyberpunk. Un futuro dominato da multinazionali e forze criminali, una enorme matrice in cui si naviga collegando i computer direttamente al proprio cervello, un mondo popolato sostanzialmente da grandi affaristi e mafiosi giapponesi, una specie di suggestivo incubo postmoderno fatto di virus, firewall e anarchici pirati della rete.
L’ultima opera di Gibson, L’accademia dei sogni, è ambientata nel presente. E questo, sulle prime, ci ha lasciato alquanto perplessi. La protagonista si chiama Cayce, “che però si legge Casey”, come il protagonista di Neuromancer. La questione dell’ambientazione del romanzo e del suo rapporto con il resto del corpus gibsoniano non è dunque così semplice e i vecchi affezionati del genere possono tirare un sospiro di sollievo.
Cayce è cacciatrice di tendenze, la migliore sulla piazza, ma con una grottesca allergia ai marchi. E con una passione per le sequenze, incomprensibili segmenti di immagini che vengono ritrovate qua e là per il web e che hanno scatenato la morbosa curiosità di moltissimi navigatori, diventando una sorta di nuovo culto, nonché il più tipico esempio perfetto di “marketing virale” (una nuova tendenza, appunto). Cayce viene assunta per scoprire chi ne sia l’autore, compito cui si dedicherà non senza remore, seguendo tracce sottili e spostandosi tra Londra, Tokio e Mosca in un mondo ormai globalizzato e incontrando spie, imprenditori senza scrupoli, artisti squattrinati e ogni sorta di improbabili personaggi. E proprio come avveniva per gli eroi del cyberspace, la sua ricerca sarà guidata dalle scoperte fatte in rete, grazie a perfetti sconosciuti incontrati nei forum sulle sequenze, in un frenetico alternarsi di tecnologia e strumenti tradizionali, scenari postmoderni e sordidi locali, relittii della guerra fredda e della globalizzazione.
A ben vedere tra L’accademia dei sogni e i suoi classici antecedenti cyberpunk non c’è dunque una gran differenza. Anche perché, sembra voler dire Gibson, se si eccettuano i pc collegati al cervello, il nostro presente – pur segnato dalla stridente convivenza di passato e futuro tipica di ogni transizione – non è poi così diverso dal mondo immaginato venti anni fa. E per scrivere un romanzo di fantascienza non c’è più nemmeno bisogno di ricorrere agli effetti speciali.