Elizabeth Costello è una famosa scrittrice australiana ormai anziana, che gira il mondo controvoglia per tenere conferenze. Ai suoi ascoltatori regala solo pezzi di repertorio, ripetendo cose ormai imparate a memoria e in cui non crede più, lasciando i suoi fan delusi e perplessi. Ma lo stanco ripetersi degli stessi riti talvolta nasconde l’occasione per riflettere, per guardare al proprio passato e al presente con lo sguardo di chi sa di non avere futuro.
Perché la protagonista dell’ultimo libro di Coetzee, autore sudafricano premiato col Nobel lo scorso anno, sente di essere vicina alla fine e di avere ormai piuttosto poco da chiedere alla vita.
Ognuna delle lezioni in cui è diviso il romanzo affronta un tema, che la scrittrice discute con i suoi interlocutori e con se stessa. Lo fa con lo sguardo e il disincanto della vecchiaia, con ironia, ma anche con la tristezza di chi sa che è giunto il tempo degli ultimi saluti. Così la bellissima lezione sull’eros, in cui l’anziana scrittrice si abbandona a immaginare le motivazioni che spingevano gli dei classici a provare interesse ed attrazione sessuale per i mortali, termina con la scoperta di un mondo dominato dal desiderio, amara per chi ormai desiderio non conosce più: “Non c’è ultima, né infima, tra le cose, che non senta il richiamo dell’amore. Una visione, un’apertura, come i cieli spaccati dall’arcobaleno dopo la pioggia. Basterà, ai vecchi, avere ogni tanto quelle visioni, quegli arcobaleni, a confortarli, prima che la pioggia battente ricominci a cadere?”
Ma Elizabeth Costello non è solo uno splendido racconto sull’addio al mondo, è anche una riflessione sulla scrittura. Nell’ultima lezione Elizabeth si trova alle porte di una nuova vita, per accedervi deve dichiarare in cosa crede. Ma non riesce a farlo: “Sono una scrittrice e scrivo quello che ascolto. Sono una segretaria dell’invisibile, una delle tante segretarie nel corso del tempo (…) Non sta a me chiedere, giudicare quello che mi viene dato. Mi limito a scrivere le parole e poi a verificarle, ne verifico la solidità. Per essere certa di aver sentito bene”.
Lo scrittore è solo un mezzo attraverso cui passano le storie. Si limita a rispondere alle chiamate e ad annotarle. Che dall’altra parte della cornetta ci sia un assassino o un eroe conta poco, bisogna comunque ascoltare la sua voce. E l’opera letteraria va giudicata per quello che è, senza cercare messaggi o chiedere prese di posizione.
“Qual è il suo messaggio fondamentale?” domanda una giornalista a Elizabeth. “Il mio messaggio? Devo proprio portare un messaggio?” Inutile chiedere allo scrittore un impegno, un credo. “Io preferisco non parlare di politica. Quello che ho da dire sui problemi politici non è di grande interesse” dice Coetzee in una delle sue rare interviste. E’ probabile che di fronte a una simile affermazione i suoi fan rimangano delusi e perplessi quanto quelli del suo personaggio, soprattutto in Italia. Ma forse il contributo più autentico che un intellettuale – sia esso scrittore, filosofo, o geografo – può dare alla comprensione del mondo in cui vive deve partire dalla sua disciplina specifica. E allora per lo scrittore di Coetzee, che ascolta le voci che vengono dall’infinito e mica quelle della porta accanto, il quinto emendamento della letteratura dovrebbe essere un diritto inalienabile rispettato dai lettori e dagli intellettuali impegnati, custodito gelosamente dall’opinione pubblica e garantito dalle costituzioni democratiche.