Un uomo che vuole la verità, diventa scienziato; un uomo che vuole lasciare libero gioco alla sua soggettività diventa magari scrittore: ma che cosa deve fare un uomo che voglia qualcosa di intermedio fra i due? Di questi esempi «intermedi» se ne trovano in ogni precetto morale, per esempio nel semplice e notissimo: non ammazzare. Si vede alla prima occhiata che non è una verità né una soggettività. Si sa che noi lo osserviamo strettamente sotto certi riguardi; sotto altri riguardi sono concesse numerose eccezioni, però entro limiti precisi; ma in un gran numero di casi di una terza categoria, cioè nella fantasia, nei desideri, nelle opere teatrali o nella lettura dei quotidiani noi ondeggiamo senza alcuna regola tra la tentazione e l’orrore. Una cosa che non è né una verità né una soggettività viene chiamata talvolta un’esigenza. Si è inchiodata questa esigenza ai dogmi della religione e a quelli della legge, dandole così il carattere di una verità derivata, ma i romanzieri ci narrano le eccezioni, a cominciare dal sacrificio d’Abramo fino alla bella donna che ieri ha ucciso l’amante, e la riducono di nuovo in soggettività. […] Ciò che l’uomo sente per quel comandamento è un misto di cieca obbedienza (compresa la «natura sana» che ripugna anche pur dall’idea di un’azione simile, ma appena un po’ turbata dall’alcol o dalla passione la commette di filato) e di spensierato diguazzo in un mare di possibilità. Il precetto deve proprio essere inteso così?
Robert Musil, L’uomo senza qualità
(a cura di Massimo Adinolfi)