Ancora una volta, la vittoria schiacciante dell’opposizione alle regionali – che possiamo considerare le nostre vere elezioni di mid-term – determina una crisi apparentemente irreversibile nel governo e nella maggioranza. Così accadde nel 2000 con le dimissioni di D’Alema, quando il centrosinistra affidò ad Amato il compito di guidare un nuovo governo fino alle elezioni e a Rutelli quello di guidare la coalizione alla sconfitta, così accade oggi a Silvio Berlusconi. Ancora una volta, la maggioranza uscita dalle elezioni politiche non riesce ad arrivare alla fine naturale della legislatura con lo stesso governo con cui l’ha inaugurata. Ancora una volta, alle elezioni si tratterà di scegliere tra Silvio Berlusconi e Romano Prodi. Forse. Perché nella Casa delle libertà qualcuno ha già cominciato a dire l’indicibile, ma al momento sembra improbabile che il Cavaliere accetti di passare la mano.
Le maggioranze friabili che finora hanno contraddistinto il sistema politico italiano dopo la crisi della cosiddetta prima Repubblica si mostrano inadeguate a sostenere il logoramento cui le espone la responsabilità del governo. Il sistema maggioritario inaugurato dalla vittoria di Berlusconi e caratterizzato in questi dieci anni dalla contrapposizione tra alleati e avversari del Cavaliere, non sembra però destinato a finire con lui. Al contrario, la fine della guerra civile figurata tra berlusconiani e antiberlusconiani è forse l’occasione migliore per uscire dal circolo vizioso che abbiamo appena descritto. Perché con l’anomalia del leader di Forza Italia e padrone di Mediaset, può finire anche l’anomalia del sistema maggioritario incentrato sulle contrapposizioni fittizie da lui disegnate. Questo era il reale significato, sebbene certamente al di là delle intenzioni del loro autore, delle dichiarazioni pronunciate dal fedele Sandro Bondi all’indomani della sconfitta alle regionali, quando affermava che in Italia era finito il pericolo comunista. Il processo di liberazione del centrodestra dal suo tirannico patrigno sarà lento e doloroso, ma è oramai irreversibile. Quali che siano le convulsioni, gli accordi o le divisioni dei prossimi giorni in parlamento e nei vertici dei partiti, non c’è dubbio che la crisi di governo è in realtà la crisi della maggioranza e che questa non si concluderà fino a quando Silvio Berlusconi non avrà cessato di esserne il leader.
L’alternativa che alle prossime elezioni, quale che sia la data, gli elettori premieranno sarà innanzi tutto un’alternativa di sistema. Non a caso l’agonia della maggioranza è iniziata all’indomani della scelta di costituire, nell’opposizione, una forza centrale che unisse i principali partiti della coalizione nella Federazione dell’Ulivo. La lista unitaria che si presenterà alle elezioni politiche non sarà solo un elemento di chiarezza su chi dovrà guidare la nuova maggioranza e quali saranno le sue priorità nell’azione di governo, ma innanzi tutto la promessa di questa alternativa. Quanto più la lista Uniti nell’Ulivo si affermerà all’interno del centrosinistra, tanto più anche i timidi segnali di emulazione nella Casa delle libertà orfana di Berlusconi saranno seguiti dai fatti. Permettendo finalmente al paese un regime dell’alternanza libero dai continui ricatti di formazioni politiche e gruppi di pressione dalla debole legittimazione democratica e dal fortissimo potere di interdizione. Solo allora varrebbe davvero la pena di festeggiare la fine dell’anomalia berlusconiana, perché solo allora, con la vicenda di Berlusconi, sarebbe finita anche l’eterna anomalia italiana.