Normalmente, citare il nome di un golfista garantisce un discreto quantitativo di facce perplesse negli interlocutori. Nel caso di Tiger Woods è invece probabile che anche i non appassionati sappiano di chi si sta parlando. Nato da padre afroamericano con ascendenze indiane e madre di origini tailandesi, un’infanzia da campione predestinato, con le sue vittorie aveva ripetutamente violato lo sport wasp per eccellenza (per citare il dato più eclatante, sette tornei del Grande Slam vinti sugli undici disputati fra fine 1999 e metà 2002). Il suo gioco potente e continuo sbalordiva gli addetti ai lavori, il suo perenne sorriso smagliante attraeva, oltre alle sponsorizzazioni milionarie, anche i non golfisti, aprendo nuovi spiragli di popolarità a una disciplina riservata a pochi, danarosi eletti. E invece, come in tutte le storie apparentemente perfette, arriva la crisi: dopo un discreto 2003, un 2004 di palline sparacchiate senza costrutto. Non è quindi un caso che i Masters di Augusta, primo major (prova del Grande Slam) stagionale, non lo vedessero tra i favoriti. I pronostici sembravano essere pienamente rispettati quando, al termine del primo giro, Woods totalizzava un misero 74, mentre il suo connazionale Chris DiMarco conduceva con ben sette colpi in meno. La stampa già parlava di un Tiger ancora bloccato, che non era ancora riuscito a trovare la quadratura del suo gioco dopo aver deciso di cambiare tipo di swing, il movimento con cui si colpisce la pallina (per capire la portata dell’evento, è come se un giorno Maradona avesse deciso di calciare le punizioni solo col piede destro). Ma era troppo presto per dare Woods per spacciato: un’imperiosa rimonta, con giocate degne dei tempi andati, finivano per portarlo alle ultime due buche del torneo con due colpi di vantaggio sullo stesso DiMarco. Sembrava ormai fatta, ma Woods commetteva due errori che potevano risultargli fatali, considerando che l’approccio che poteva dare la vittoria al suo avversario andava a fermarsi esattamente sul bordo della buca. Alla fine, 276 colpi per parte: si doveva quindi ricorrere al playoff, una buca di spareggio. Woods faceva finalmente valere la sua superiorità tecnica e, grazie a un putt dalla breve distanza, si aggiudicava il suo quarto Masters (dopo quelli del 1997, del 2001 e del 2002) assieme alla simbolica giacchetta verde che viene tradizionalmente consegnata dal vincitore dell’anno precedente. Per DiMarco invece era la seconda beffa consecutiva in un major, dopo aver perso anche lo scorso PGA Championship al playoff. D’altronde, provate voi a fare i conti col risveglio di una Tigre.