Il nazismo dal volto umano

Hitler, il nazismo, i suoi gerarchi, in una parola il Male. E’ questo il tema de “La Caduta”, il film di Oliver Hirschbiegel che rievoca la presa di Berlino, avvenuta proprio in questi giorni sessant’anni fa. Attraverso gli occhi di una giovane segretaria vediamo gli ultimi momenti del dittatore, asserragliato nel bunker, mentre dà ordini ad armate ormai in rotta, attorniato da uno stato maggiore incapace di risolversi tra la preoccupazione per la guerra ormai perduta, il timore e l’obbedienza verso un fuerher che nella sua follia ha perso ogni contatto con la realtà. La pellicola è stata accusata di conferire a Hitler, interpretato da Bruno Ganz, un tratto troppo “umano”, ma così non ci è parso. Non solo non c’è alcun tipo di condiscendenza verso il nazismo, né si vede perché il film dovrebbe averne per il mero fatto di essere tedesco, ma il dittatore è provvisto di tutto il regolamentare armamentario di follia e retorica maligna che siamo abituati ad attribuirgli. Solo che accanto a questo ci sono, anche, tracce di come doveva essere Hitler come persona quando, dice Eva Braun nel film, non è il fuerher.
E’ proprio questo il merito maggiore della pellicola, l’avere cioè tratteggiato ogni personaggio, almeno per un momento, oltre il cliché che inevitabilmente la storia e la pubblicistica gli hanno assegnato. C’è il fuerher che arringa i generali come di prammatica e poi nell’intimo della sua stanza, presagendo la fine, offre una fiala di veleno alla segretaria, scusandosi di non poter fare un regalo più bello; o la fatua Eva Braun, che prima della morte si rende conto di non sapere poi tanto dell’uomo cui ha legato la sua sorte. Perfino la famiglia Goebbels, la famiglia nazista perfetta, che vacilla nella tragica fine, con Magda che uccide i suoi figli in quella che è probabilmente la scena più intensa dell’intera pellicola. Una rappresentazione più impersonale del Male sarebbe stata più ortodossa, ma anche molto più facilmente esorcizzabile, mentre il nazismo fatto di uomini, con le loro contraddizioni, meschinità e tenerezze, che convivono con la loro mostruosità, fa uscire lo spettatore dal cinema con un bel po’ di salutari domande in testa.