Martedì 3 maggio, nel corso del seminario promosso da Italianieuropei al cinema Adriano di Roma, Massimo D’Alema ha compiuto quella che tutti i giornali hanno salutato come la grande svolta della politica estera del presidente dei Ds. Il tema dell’Europa a più velocità torna a imporsi come essenziale, ha scandito, perché è difficile parlare di un’Europa attore globale se non c’è un nucleo di paesi che mette insieme risorse in tema di politica internazionale e di difesa. Un nuovo governo di centrosinistra dovrebbe impegnarsi in questa direzione, proiettarsi sulla frontiera di un coraggioso rilancio del processo di integrazione in un’iniziativa che non può non avere come nucleo il gruppo dei paesi fondatori. Senza questa forte coesione sarebbe molto difficile reimpostare nuove e più feconde relazioni transatlantiche. “Trovo molto giusto come i socialisti francesi, pur apprezzando il rifiuto della guerra da parte di Chirac, ne abbiano sottolineato il carattere nostalgico e neogollista”. Da una parte e dall’altra, ha detto D’Alema riferendosi tanto all’asse franco-tedesco quanto ai paesi schieratisi con Bush, l’Europa è corsa a dividersi sull’asse di un malinteso interesse delle nazioni piuttosto che unirsi in un’iniziativa che le consentisse davvero di incidere.
Il rilancio di un’Europa a più velocità e l’impegno che un futuro governo di centrosinistra dovrebbe assumere sulla strada del cosiddetto nocciolo duro, non hanno però catturato l’attenzione dei media. Maggiore attenzione hanno suscitato invece le parole del presidente dei Ds sulla guerra irachena. All’Adriano D’Alema si è soffermato sull’analisi illusoria di chi, come Tony Blair, si diceva convinto che la guerra sarebbe durata pochi giorni e il regime sarebbe caduto subito come un castello di carte. “Si è dimostrato quanto sia invece problematica l’idea di imporre dall’esterno attraverso la guerra la democrazia, quanti elementi di instabilità si siano introdotti, quale prezzo si sia pagato alla inevitabile crescita di sentimenti antiamericani nel mondo arabo e quanto il conflitto in Iraq abbia rischiato di allargare il consenso attorno all’islamismo radicale”. Quello che sembra essere un approccio molto diverso al problema dell’Iran da parte degli Usa, ha proseguito, sembrerebbe anche il frutto di questa lezione. “Tuttavia rimane nel vivo di questa complessa crisi la sensazione che se da una parte i neoconservatori hanno tratto dall’11 settembre una conclusione e hanno costruito una risposta imperniata sull’unilateralismo e la guerra preventiva, con tutti i guasti che ha prodotto e la sostanziale impasse in cui ci troviamo oggi; dall’altra, in Europa è sembrata prevalere l’idea che in sostanza l’11 settembre avesse cambiato ben poco e ha continuato a esserci nelle classi dirigenti e nell’opinione pubblica europea una sottovalutazione degli enormi rischi del terrorismo”. Quindi D’Alema ha osservato che la risposta europea, la risposta strategica in grado di sorreggere un dialogo fecondo e anche di condizionare la politica americana, se c’è, è emersa in modo insufficiente. “Io credo che una risposta di centrosinistra debba prendere le mosse da quello che è il nucleo centrale della nuova dottrina americana, l’idea che il fondamento della sicurezza internazionale sta in una espansione della democrazia. Questa idea è giusta e deve essere considerata come il terreno di una sfida positiva. L’espansione della democrazia può essere il fondamento di una nuova sicurezza interna ed è terreno di confronto con la destra americana. Ma se guardiamo al tema dell’espansione della democrazia ci rendiamo conto che le principali resistenze non vengono dai ‘cattivi’, per cui la rimozione degli ostacoli attraverso l’uso della forza garantisce l’espansione della democrazia. E’ vero che ci sono resistenze da parte di dittatori e la tolleranza verso le dittature non è accettabile: la comunità internazionale deve avere una strategia di isolamento e di indebolimento che porti alla caduta dei dittatori. Ma se guardiamo ai grandi processi internazionali vediamo come siano le resistenze culturali, di natura economica e sociale le ragioni principali del fallimento di tante nuove democrazie. Silvano Andriani in un articolo su Nuovi Argomenti mette in evidenza gli stati in cui i processi di indipendenza e democratizzazione sono falliti e che costituiscono una minaccia enorme, stati in cui vivono novecento milioni di persone. E il fallimento dei processi di democratizzazione è legato fondamentalmente non a mancanza di coraggio nell’uso della forza (secondo l’ideologia della destra americana, a un’Europa bottegaia che non ha il coraggio di prendere le armi) ma alla mancanza di una strategia globale in grado di sostenere processi di democratizzazione attraverso politiche di riduzione delle diseguaglianze e redistribuzione delle opportunità. Il terreno vero su cui l’Europa deve giocare la sua partita nel confronto con le nuove classi dirigenti americane sta proprio nel dimostrare che la concezione europea di un ordine fondato sul diritto è quella che meglio corrisponde alla necessità di espansione della democrazia, rispetto a quella fondata sull’egemonia occidentale e l’uso della forza”. Detto questo – e chiarito quale fondamento abbiano gli articoli sul D’Alema neocon apparsi in questi giorni, come si può facilmente verificare ascoltando la registrazione dell’intervento sul sito della fondazione Italianieuropei – il presidente ds si è spinto più in là: “Se si vuole perseguire con successo una strategia di espansione della democrazia e dei diritti umani, questo significa non escludere il tema del ricorso alla forza. E’ impensabile che oggi davanti al disordine del mondo si possa escludere la possibilità estrema di un ricorso all’uso della forza. Il tema fondamentale è ripensare un multilateralismo che non sia una condivisione dell’impotenza, che non sia semplicemente il mantenimento di uno status quo, ma un sistema efficace in grado di intervenire attivamente nelle crisi economiche e per la difesa dei diritti umani, non accettando i vincoli di una visione ottocentesca delle sovranità nazionali”. Questo sembra dunque l’asse della politica internazionale di un futuro governo di centrosinistra. Questo è l’oggetto della discussione. Tutto il resto, dal D’Alema neocon al D’Alema impaurito che il giorno dopo si sarebbe rimangiato le sue stesse parole, sembra invece soltanto il noioso avvio di un’altra lunghissima, ripetitiva, deprimente campagna elettorale.