Non posso perdonare Cartesio – scriveva Pascal con cupa amarezza. L’aveva incontrato un paio di volte a Parigi, nel 1647, ma non erano stati certo quegli incontri a renderlo imperdonabile ai suoi occhi. A quel tempo, Pascal non era ancora il grande penitente convertito a una vita autenticamente cristiana, disilluso dalle matematiche e dalle scienze, minato dalla malattia e impegnato tuttavia nella grandiosa redazione di una nuova apologia della religione. Era invece un giovane scienziato desideroso di mostrare tutto il suo valore al filosofo più famoso del tempo. Un paio di anni dopo, Cartesio si ricordò di quegli incontri, ma solo per domandare a un amico l’esito di un esperimento sul vuoto condotto in quei mesi da Pascal, cui il filosofo (sbagliando) non annetteva grande importanza. Un’ossessione fu invece Cartesio per Pascal, e anche se nelle sue carte il nome di Cartesio compare di rado, è a lui che pensa Pascal ogni volta che pensa alla vanagloria dei filosofi di cui intende farsi beffe.
Perché un’ossessione? Perché Descartes, non avendo potuto eliminare Dio dal suo système du monde, aveva lasciato secondo Pascal che con la creazione Dio desse solo un piccolo colpo d’avvio all’universo, per poi fare che la materia procedesse autonomamente secondo sue proprie leggi, e formasse così le stelle, la terra, gli animali e il corpo umano.
Una simile autonomia inorridiva Pascal, che nella natura cercava invece i segni incerti di un irascibile e misericordioso Dio nascosto (così ben nascosto, ha osservato Hans Blumenberg, che finirà con l’essere pragmaticamente morto ben prima che prorompa il folle grido di Nietzsche). Ma era quell’autonomia che Descartes invece perseguiva. La stessa autonomia che lo aveva spinto, ancor giovane, a stabilirsi nel paese più libero d’Europa: ad Amsterdam, come racconta nel Discorso sul metodo, “tra la folla di un grande popolo assai attivo e più interessato ai propri affari che curioso di quelli altrui”. E di cui in una lettera tesse un modernissimo elogio: “Quale altro luogo del mondo si potrebbe scegliere – scrive infatti Cartesio – in cui sia tanto facile come in questa città trovare tutte le comodità della vita, e tutte le curiosità che ci si può augurare? Quale altro paese in cui si possa godere una libertà così intera?”.
Dell’uso che Cartesio faceva della libertà sappiamo qualcosa. Più volte si recò a trovarlo un medico belga che con lui era stato in corrispondenza, Vopiscus Plemp. Ecco la sua non neutrale testimonianza: “Ignorato da tutti, Cartesio si nascondeva nella casa di un mercante di tessuti, situata nella strada che deve il suo nome ai vitelli. Io l’ho visto molto spesso e ho sempre trovato un uomo che non leggeva libri e non ne possedeva, dedito alle sue solitarie meditazioni che affidava alla carta, qualche volta alla dissezione degli animali, proprio come Ippocrate trovò Democrito nei pressi di Abdera”.
C’è bisogno di aggiungere altro? Democrito non è un nome qualsiasi, ma il nome dell’antico filosofo che credeva nel caso, nel vuoto e negli atomi: un senza dio. Cartesio viene presentato come lo studioso che invece di legger libri trascorre il tempo nel cortile di casa dissezionando carcasse d’animali. C’è in Plemp ammirazione e spavento: che ne sarà della sapienza degli uomini, se non apriranno più libri? Che ne sarà delle antiche auctoritates, se verrà privilegiata l’osservazione e l’esperimento diretto? E se i filosofi abiteranno tra macellai, nella strada dei vitelli, invece di starsene in convento, in biblioteca o in aula? Che rozza filosofia è mai questa? E cosa significa, cosa dobbiamo temere da quello scrutare indiscreto e morboso nelle viscere della vita?
Quando troviamo Descartes fra i cadaveri di animali è trascorso poco meno di un secolo dalla pubblicazione dell’opera che segna la nascita dell’anatomia moderna, il De humani corporis fabrica di Andrea Vesalio, stampato nel rivoluzionario anno 1543, lo stesso anno del De rivolutionibus di Copernico. Dei problemi del copernicanesimo con la Chiesa tutto si sa, di quelli di Vesalio e della medicina un po’ meno. Ma lo scandalo della sua fabrica durò a lungo, e anche se nel Seicento, specie nelle province olandesi, si tenevano ormai pubbliche e spettacolari lezioni di anatomia, i più ferventi cristiani non mancavano di rimanerne scandalizzati: secoli di tenaci divieti non si cancellano in un sol colpo.
Anche per questo, Pascal non poteva perdonare Cartesio. L’ultimo ramo dell’albero del sapere di Cartesio è la medicina; per Pascal, l’uomo è un malato incurabile e qualunque tentativo di sanarlo è non solo vano, ma dannoso, perché occulta la malattia. Cartesio pensava di poter portare la vita umana ben oltre i cent’anni, Pascal chiedeva all’uomo di vivere pensando di avere otto giorni di vita. C’è bisogno di aggiungere altro? Ora sapete per chi avrebbe votato il 12 e 13 giugno Pascal, malinconicamente raccolto nella solitudine di un monastero; e per chi Cartesio, felicemente anonimo in mezzo a un’indaffaratissima folla cittadina.