Così, ho chiamato il mio libro ‘Chiedi alla polvere’ perché in quelle strade c’è la polvere dell’Est e del Middle West, ed è una polvere dove non può crescere nulla, una cultura senza radici, una frenetica ricerca di riparo, la furia vana di gente persa e senza speranza alle prese con la ricerca affannosa di una terra che non gli apparterrà mai. E c’è una ragazza, ingannata dall’idea che felici fossero quelli che si affannavano, e voleva essere dei loro”.
“Ho Dio dalla mia parte/ Sto solo cercando di sopravvivere/ Che succede se ciò che fai per sopravvivere/ Uccide tutto quello che ami/ La paura è qualcosa di spaventoso/ Può far diventare nero il tuo cuore, contaci/ Prenderà la tua anima così ricolma di Dio/ e la riempirà di demoni e polvere”.
La prima citazione è tratta da “Chiedi alla Polvere” di John Fante; la seconda è nel testo di “Devils & Dust”, title-track dell’ultima fatica di Bruce Springsteen. A parte l’assonanza creata dal riferimento alla polvere, l’accostamento mostra quanto il livello di scrittura del Boss sia maturato negli ultimi anni: avvezzo da sempre a scrivere storie minimaliste, a raccontare piccole gioie e grandi dolori, testimone di quell’America minore che non corrisponde all’immagine di potenza unica del nuovo ordine mondiale, ha segnato con “The Ghost Of Tom Joad” (’95) uno spartiacque letterario nella sua produzione. L’immersione nella poetica di Steinbeck, in un panorama di diseredati uniti dal comune orizzonte d’infelicità, ha accentuato il suo lato lirico, spingendolo verso una forma meno canzone e più poesia o breve brano di prosa. Tali sono i testi di “Devils & Dust”, dalla già citata canzone omonima alla spirituale “Jesus Was An Only Son”; dalla funebre “Silver Palomino” all’indemoniata “Reno”, fino al vero e proprio racconto di “Black Cowboys”. All’interno, c’è un viaggiatore speciale che riflette sulla terra che ama senza retorica; con l’asciuttezza propria della polvere che ognuno dei suoi personaggi si porterà appresso.
Nella lunga e già ampiamente celebrata carriera del Boss, “Devils & Dust” sembra destinato a entrare come un capitolo “minore” anch’esso, una costola di “The Ghost of Tom Joad”; in realtà, è la natura stessa dell’album a non reclamare sprechi di aggettivi o grida di mirabilia. Bruce canta sottotono, affondando il pedale sul ritmo solo a sprazzi; la musica segue i testi, accompagna con toni di blues, country e folk ogni capitolo. Con lui, in perfetta sintonia, Brendan O’Brien al basso e Steve Jordan alla batteria più qualche antico complice come Chuck Plotkin, Danny Federici e l’amata Patty (Scialfa) ai cori, per una partitura ruvida e severa ma dall’animo gentile. Come un personaggio di Eastwood, il magnifico perdente di “Honkytonk Man”, film ambientato negli anni della Grande Depressione e debitore di John Ford quanto lo stesso Springsteen; il quale, mentre altri predicano da fermi, continua a tenere, con quieta ostinazione, la strada. E la polvere.