La pubblicazione sul Corriere della Sera dell’ormai famosa direttiva vaticana del 1946 – quella che imponeva di non restituire alle famiglie i bambini ebrei salvati dallo sterminio e nel frattempo battezzati – ha suscitato molte polemiche, legate al processo di beatificazione di Pio XII e alimentate dall’intreccio (spesso perverso) con i temi dell’attuale dibattito politico-culturale. A rivelare l’esistenza del documento era stato lo storico Alberto Melloni, che domenica ha chiuso la discussione invitando la Chiesa ad aprire gli archivi e permettere agli studiosi di accedere a tutte le carte riguardanti il periodo della Seconda guerra mondiale, anche per “riflettere proprio sulle residuali insinuazioni, sui rigurgiti di disprezzo, sulle autoindulgenze, sui complessi vittimisti che sono riemersi nel corso di questo lungo dibattito, senza esserne la parte principale”. Sul merito della questione, non si possono che sottoscrivere le sue parole. Ma il merito della questione è stato progressivamente abbandonato.
Nei giorni scorsi, alle veementi richieste dello storico Daniel Jonah Goldhagen di fermare la beatificazione del “criminale” Pio XII ha fatto seguito l’intervento di Giorgio Rumi, che ha denunciato la nascita di una “Inquisizione anticattolica”. Dunque, proprio come ai tempi dell’audizione dell’ex aspirante commissario europeo Buttiglione, l’oggetto della discussione è divenuto improvvisamente il risorgere delle persecuzioni anticristiane. La polemica segnala un elemento ricorrente nella cultura del centrodestra, ansioso di ridarsi una più solida identità politico-culturale e sempre alla ricerca di nuove radici, nell’impaziente attesa di rimanere orfano di Silvio Berlusconi (vuoi perché sconfitto nelle urne, vuoi perché chiamato a più alto incarico).
Le aporie in cui rischia di precipitare questa frettolosa opera di riconversione teologico-politica sono rese evidenti dal lungo intervento di Ernesto Galli della Loggia sul Corriere di venerdì scorso. Citando lo storico Raul Hilberg, Galli sostiene che il nostro concetto di antisemitismo e la presa di coscienza dell’orrore della Shoah nasce negli anni sessanta, perché “negli Stati Uniti il fenomeno conosciuto con il nome di Olocausto trovò un terreno fertile solamente dopo i travagli della guerra del Vietnam, allorché una nuova generazione di americani si pose alla ricerca di certezze morali e l’Olocausto divenne la misura del male assoluto sulla quale misurare e giudicare tutte le altre trasgressioni nel comportamento delle nazioni”. Notiamo per inciso che secondo tale ragionamento evidentemente la nascita dello stato di Israele o il processo Eichmann non furono eventi tali da suscitare, né in America né altrove, alcuna riflessione sull’antisemitismo e la Shoah. L’Olocausto stesso, argomenta Galli della Loggia coerente a queste premesse, “ha cominciato a esistere solo dagli anni Sessanta in avanti, avendo l’effetto ovvio di modificare a partire da quegli anni anche il nostro criterio per stabilire ciò che è antisemitismo e insieme di rendere assolutamente obbligatoria la sua condanna. Proprio per ciò trasporre nel passato tale criterio e scandalizzarsi per la mancata ripulsa settanta o ottanta anni fa da parte di uomini e organizzazioni di ciò che oggi definiamo antisemitismo costituisce una grave, indebita forzatura”. Anche qui, a rigor di logica, si dovrebbe concludere che accusare di antisemitismo Adolf Hitler, che indubbiamente operò prima degli anni sessanta, costituirebbe un’altra indebita forzatura. Né si può fare a meno di notare come oggi Galli della Loggia – dopo avere accusato di latente antisemitismo tanta parte della sinistra e del movimento pacifista – attribuisca allo stesso movimento pacifista la fondazione del concetto di antisemitismo. E proprio a quei giovani idealisti che altrove considerava poco più che servi sciocchi al servizio dell’Unione sovietica, incapaci di vedere gli orrori del comunismo e il male che la vittoria dei “buoni” avrebbe fatto a quel lontano paese, trasformandolo in una cupa dittatura.
Pur non volendo iscrivere d’ufficio Galli della Loggia nelle file della maggioranza, il suo articolo mostra in maniera esemplare le contraddizioni in cui l’affannosa ricerca di sempre nuove basi identitarie espone il centrodestra. La linea di attacco frontale all’ipocrisia terzomondista della sinistra e del movimento per la pace, anzitutto per l’antisemitismo più o meno latente delle sue posizioni filo-palestinesi, si rovescia improvvisamente nel suo contrario: gli accusati di ieri, quegli “antisemiti progressisti” cui Fiamma Nirenstein dedicava un intero libro di recente pubblicazione, divengono ora gli ingiusti e fanatici accusatori. Le vittime non sono più né ebrei né israeliani, ma i cattolici italiani perseguitati dal furore anticlericale e “laicista”. La svolta è definitivamente compiuta. Ma su queste basi, difficilmente porterà lontano.