Attivi dal 1991, i liguri Labyrinth iniziano con il recente “Freeman” una nuova tappa del loro viaggio. Dopo la cruciale separazione dallo storico fondatore Carlo Andrea Magnani (alias Olaf Thorsen: per molti anni la band ha utilizzato epici pseudonimi), nuove strade erano state già intraprese con l’album “Labyrinth”, inteso, sin dall’abbinamento nome/titolo, come una ripartenza. La meta, aggiornare il sound del gruppo, tirando le fila di un lavoro non facile: tre anni di gavetta portano nel 1994 a un demo, “Midnight Resistance”, che procura un contratto e un ep, “Piece Of Time”; il classico heavy melodico e maideniano con retrogusto di tastiere tra Deep Purple e Rainbow, che colpisce tanto gli appassionati italiani quanto quelli tedeschi. Il ’95 vede subito l’incisione del primo full-lenght, “No Limits”, titolo benaugurale: il seguito del gruppo si espande dall’Europa fino a Giappone, Corea e Brasile. I mesi successivi vedono la band impegnata in tour di rilievo (inclusa la partecipazione al “Gods Of Metal” del 1998, con Black Sabbath, Pantera, Helloween) e nell’assestamento della formazione, con l’arrivo dell’attuale frontman Roberto Tiranti (all’epoca, Rob Tyrant) e del batterista Mattia “Mat” Stancioiu. Escono in successione il cd “Return To Heaven Denied” (’98), il mini-cd “Timeless Crime” (’99) e il cd “Sons Of Thunder” (’00). “S.O.T.” esordisce al numero 26 delle classifiche italiane e al numero 52 di quelle giapponesi, giusto viatico per un nuovo tour di successo. Sfortunatamente, la lite (legale) con la casa discografica prima e l’uscita di Magnani – divergenze sul percorso artistico che il chitarrista metterà a frutto nei suoi Vision Divine – rallentano il cammino della band. “Labyrinth” (’03) li rimette in pista: stessa line-up (oltre a Tiranti e Stancioiu, il chitarrista Andrea “Anders” Cantarelli; il tastierista Andrea “MC” De Paoli e il bassista Cristiano “Chris” Bertocchi) ma influenze diverse, alle quali contribuisce, dal vivo, il secondo chitarrista Pier Gonella da quel momento sesto componente in organico. “Freeman” riprende e conclude (per ora) il discorso, con esiti decisamente interessanti. Le canzoni suonano più crude, senza rinunciare al morbido impasto caratteristico del gruppo, come nell’opening track “L.Y.A.F.H.” (classico riff che si imprime nella memoria sin dal primo ascolto) o negli accenni trash di “Deserter”; il sound mantiene invece un gradevole equilibrio all’interno del quale ogni ingrediente trova la giusta collocazione e coesione. Per la prima volta, la copertina rinuncia a favolistiche e inquietanti ambientazioni per la rudezza di un fotografico black&white più in linea con i testi, metaforici ma scopertamente ispirati all’attualità. Apprezzabile, infine, il bonus dvd che permette di ammirare i Labyrinth in azione a Tokyo lo scorso anno, reggendo il palco con grinta e versatilità.