Perché domenica un pezzo della sinistra francese ha “osato dire no” (Pierre Laurent sull’Humanité di ieri)? Il trattato costituzionale è un singolare oggetto giuridico: lungo, complesso e farraginoso. Preoccupato com’è di regolare la complessa macchina delle istituzioni comunitarie, esso è congegnato in modo da non poter entrare nella coscienza, nella memoria e nel cuore di nessun cittadino europeo. Nella III parte sulle politiche dell’Unione, il Trattato (questo trattato di “buona condotta liberale”, ancora Pierre Laurent) prolunga il corso della politica economica comunitaria degli ultimi anni: bocciarlo, avrebbe significato votare per l’Europa sociale contro l’Europa liberale. Votare contro la burocrazia di Bruxelles, l’Europa dei banchieri, la giungla del mercato (eccetera). Quanti hanno difeso il Trattato nonostante i suoi evidenti limiti, trovano nel voto anche molte delle paure dell’Europa: timori per l’allargamento a est, ansie per la concorrenza sempre più agguerrita dei paesi emergenti, angosce per i sempre più imponenti fenomeni migratori, e insomma l’esitazione nell’affrontare il nuovo e nel misurarsi con la realtà. Ma come che stiano le cose, tutte queste motivazioni danno ancora un significato politico al voto francese.
Come ha invece spiegato giorni fa Jean Baudrillard su Libération, “la sola cosa appassionante in questo ingannevole referendum, è il no che si nasconde dietro il no ufficiale, il no al di là della ragione politica”. Che no è mai questo, si dirà? E’ il no al sì. Baudrillard vede le cose così: c’è un Europa per la quale il sì è un imperativo categorico, c’è “una coalizione della buona coscienza, dell’Europa divina, quella che ha la pretesa dell’universale e dell’evidenza infallibile” la quale fino all’ultimo non pensava nemmeno che si potesse votare No e credeva che la vittoria le fosse dovuta; c’è l’Europa (l’Europa ufficiale, l’Europa dei poteri costituiti, eccetera) che sta dalla parte del Sì perché non si può non stare da quella parte; c’è il pensiero unico dell’Europa (l’unico “politicamente corretto”) che trasforma il referendum in una sorta di ultimatum o di “test di europositività”, pronto a gettare via, nelle “tenebre della Storia”, quanti volessero opporsi “alle forze del Sì e del Bene”.
A questo sì reputato ovvio, naturale, spontaneo, il sì dei bravi cittadini europei, si è opposto fieramente il no di Jean Baudrillard, la resistenza e la dissidenza di Jean Baudrillard, intellettuale e filosofo. Il suo no non è stato un no all’Europa, ma alla supposta evidenza del sì, all’arroganza del sì; un no alla trasformazione del referendum in una scontata raccolta del consenso, come se la volontà popolare fosse solo più il sigillo formale da apporre su una decisione presa altrove. Baudrillard ne fa una questione più generale, che concerne l’essenza stesse delle moderne democrazie. La quale sarebbe in pericolo, poiché le istituzioni rappresentative non funzionano più nel verso giusto, dal basso verso l’alto, dal popolo ai suoi rappresentanti, ma procedono ormai dall’alto verso il basso, e funzionano così “all’inverso di una vera rappresentazione”. Su questo Baudrillard ha ragione: la democrazia è in pericolo. Solo che lo è sempre stata. La democrazia è anzitutto una forma: che possa essere svuotata o riempita di senso è scritto nella sua stessa natura formale, procedurale (il che poi non significa neppure che, come forma o procedura, sia neutrale e indifferente rispetto a qualunque contenuto si voglia veicolare con essa). Ma a proposito delle ragioni di Baudrillard, ecco quella cui in ultimo il filosofo si affida: “Una sorta di lucidità incosciente ci dice che non bisogna dare ragione a coloro che ce l’hanno già”. Traduzione: se tu dici sì, anche se hai ragione io dico no. E dico no per la sola ragione che tu o tutti avete detto sì. Nobile resistenza, ma anche ridicola impuntatura, che somiglia al capriccio di quei bambini che se ne vanno col pallone perché non vogliono stare al gioco. E non perché le regole siano sbagliate, ma perché sono regole.
Esprit très métaphysique, Baudrillard rivendica il “potere radicale di dire no” e quel “diritto di avere torto” che è al cuore di tanta filosofia moderna, specie francese, dall’iperbole del dubbio di Descartes all’uomo in rivolta di Camus. Quale Europa, quale democrazia e quale futuro si possano costruire su un simile incondizionato e irresoluto potere è ben arduo problema. Ma poiché Baudrillard ha scritto che se anche vincesse il No, “si tornerebbe a votare fino alla vittoria del Sì”, può ben ritenere che quel problema non lo occupi. Qualunque Europa emergerà, Baudrillard continuerà infatti a dire no. Coerentemente, radicalmente e inutilmente. E noi non gli faremo il torto di dire che ha ragione.