Sulla legge elettorale siamo tutti molto nervosi, troppo. E’ una questione sulla quale è facile trasformarsi da analisti in tifosi. Siamo tutti figli della nostra storia, e la vicenda della Seconda Repubblica, sebbene si avvii alla fine, è difficile da valutare con distacco. Tutti ricordiamo una stagione di entusiasmo e per la nostra parte anche di vittorie, legata a un nuovo modo di partecipare, all’introduzione per via referendaria del sistema elettorale maggioritario. E d’altro canto ci siamo ripetuti mille volte la litania dei difetti del sistema proporzionale della Prima Repubblica, coi ricatti, la frammentazione e l’instabilità che ne derivavano. Oggi abbiamo di fronte il disastro distruttivo del Porcellum, una legge che – non lo ripetiamo con sufficiente convinzione, ma è così – i democratici italiani hanno subito e che i democratici italiani, tutti i democratici italiani, vogliono cambiare per i suoi effetti catastrofici sul rapporto di rappresentanza e sulla percezione stessa della politica. Il Partito democratico ha elaborato una sua proposta, e la presenterà al Senato tra pochi giorni, dopo l’approvazione formale martedì 19 luglio in direzione. Lo scontro tra referendari passigliani e mattarelliani che ha scosso il Pd nei giorni in cui la direzione fu convocata, nel frattempo, è almeno in parte scomparso dalle cronache: grazie a qualche gesto di generosità e a qualche ripensamento, e soprattutto perché maiora premunt. Non è il caso di tornarci sopra qui, ma non è stato uno spettacolo bello da vedere.
Se aggiungo qualcosa a quanto è stato già detto, e prima che il Pd si pronunci in quanto tale, è perché nei giorni scorsi ho avuto la sgradevole impressione che questo dibattito già di per sé sgradevole tra opposti referendarismi si stesse svolgendo, nel Partito democratico, in maniera assai poco rispettosa della generazione dei quarantenni e dei loro fratelli minori, i cosiddetti “nativi”, di coloro cioè per i quali il Pd è stato voluto e realizzato. È la mia generazione, quella di coloro che si troveranno a gestire e giudicare le scelte del Pd durante la prossima legislatura e quelle che verranno, e che sperabilmente andranno alle urne per votare prima possibile con una legge elettorale diversa dal Porcellum.
Intendiamoci subito: non sono stata alla Leopolda, non voglio rottamare nessuno e probabilmente è la prima volta che scrivo una riga affermando di parlare in quanto quarantenne del Pd. Non credo che si faccia politica coi patti generazionali, né che l’essere nati in un certo decennio dia il diritto di esprimersi su alcune questioni in quanto tali o tantomeno la garanzia di avere ragione. Detesto cordialmente gli ammiccamenti nuovisti. Ho rispetto e anche affetto riconoscente verso i protagonisti della stagione dell’Ulivo, e ancor più per coloro che li hanno preceduti e ispirati. Insomma, credo di essere al di sopra di ogni sospetto di faziosità generazionale. Però adesso mi sono stufata, lo devo dire, di sentir parlare di leggi elettorali con gli occhi di quindici anni fa, e come se la politica fosse la stessa di allora.
Per cui la dico così: io voglio votare Pd alle elezioni. Mi interessano certo il bipolarismo e il maggioritario, mi interessa la stabilità e la rappresentanza, mi interessa scegliere il mio deputato. Ma mi interessa ancora di più votare il mio partito. Noi stiamo assistendo – lo ha scritto recentemente Claudio Sardo in un editoriale sull’Unità, e la riflessione è in corso anche nel Pd – al fallimento di un frutto avariato della Seconda Repubblica quale il partito personale. E però il partito noi ce l’abbiamo, e non è un partito sopravvissuto ma un partito nuovo, pensato scommettendo sulla sconfitta dei modelli a cui la Seconda Repubblica ci aveva abituato, attrezzato per aprire un’altra stagione. Noi quarantenni e trentenni siamo quelli a cui toccherà farlo vivere e gestirlo, anzi queste cose le stiamo già facendo: per cui è per il nostro partito che vogliamo votare. Non si tratta più di dare fiducia a qualcosa che alluda a una capacità di sintesi, di cambiamento e di unità superiore, come è stato l’Ulivo quindici anni fa, ma di scegliere qualcosa che c‘è, per quanto aperto, perfettibile, non sazio di se stesso. Il primo partito italiano, attualmente. Un partito, non una promessa.
Se tornasse il Mattarellum, e lo dico riconoscendo fino in fondo i meriti di quella legge e del suo autore, alle politiche non si potrebbe votare il Pd, se non nella scheda del 25 per cento della quota proporzionale. Scheda grigia, se non ricordo male: che anche il legislatore ha i suoi riflessi freudiani. Il maggioritario a turno unico rende obbligatorio presentare come soggetti della proposta di governo delle coalizioni multipartito, obbligate e obbligatoriamente indefinite. Un nuovo Ulivo, o qualcosa di analogo. Perché gli italiani possano scegliere e giudicare il Pd e la sua proposta di governo ci sono due possibilità e due sole. O un sistema maggioritario a doppio turno, oppure un sistema proporzionale, con tutti gli accorgimenti del caso che evitino i difetti del passato. O al limite un sistema che metta insieme e bilanci i due precedenti, quello che approverà la direzione del Pd.
Sinceramente dispiace che questo argomento, l’argomento del diritto che abbiamo di credere nel partito che abbiamo fondato e intendiamo consegnare alle nuove generazioni, del dovere di consentire che quel partito si presenti con la sua compiuta proposta di governo, con le sue facce e il suo simbolo, come fanno tutti i grandi partiti europei, nei giorni scorsi non si sia sentito praticamente mai nel brutto scontro tra opposti referendarismi andato in scena nel Pd. Sempre così bravi ad analizzare gli errori comuni, i capi del centrosinistra. E così poco generosi (con se stessi, prima di tutto) nel riconoscere e valorizzare quanto hanno saputo realizzare.
Io invece, siccome sono grata e riconoscente verso tutta la strada che abbiamo fatto, dico che dovrà esserci il simbolo del Pd sulla scheda elettorale alle elezioni politiche del futuro. E il Pd dovrà essere un partito grande e libero di fare politica, con una proposta vincente per il futuro. Da quarantenne del Pd, spero che sarà questo l’obiettivo di chi fa parte della direzione del Partito democratico. Non la pura e semplice nostalgia per i vecchi tempi, e i vecchi schemi.