In questi giorni si parla con sempre maggiore insistenza di una imminente e decisiva iniziativa istituzionale del presidente della Repubblica che potrebbe cambiare il corso dell’attuale crisi politica. In molti pronosticano elezioni a breve. Tutto, e prima di tutto il buon senso, suggerirebbe alla sinistra di prepararsi alla battaglia finale con Silvio Berlusconi, rimandando ogni altra discussione a tempi migliori. Ma quello che sta accadendo dentro il Partito democratico, dalle primarie di Napoli in poi, non può essere accantonato come questione interna, nemmeno in un momento come questo. E per almeno due motivi. Il primo motivo è che quello che sta accadendo rischia di compromettere le stesse possibilità di vittoria del Pd. Il secondo motivo è che rischia di compromettere anche le ragioni per augurarsela, una vittoria del Pd.
Nelle polemiche di questi giorni si confondono malamente dati di fatto, valutazioni politiche, questioni morali e simboliche. E allora è meglio andare con ordine. Per quanto riguarda i dati di fatto, appena due giorni fa abbiamo letto sul Corriere della sera che il risultato dei seggi contestati sarebbe stato certificato e garantito da scrutatori appartenenti al comitato del candidato sconfitto, Umberto Ranieri. E che nel seggio in cui era stata denunciata un’affluenza oltre ogni verosimiglianza avevano votato meno persone che alle primarie del 2007, vinte da Walter Veltroni, e del 2009, vinte da Pier Luigi Bersani. Non parliamo delle incredibili dichiarazioni rilasciate a caldo proprio da Veltroni, in diretta tv, a proposito dei troppi cinesi in fila ai seggi. Segnaliamo qui soltanto il video di Diego Bianchi girato tra i pachistani in fila a Roma per votare alle primarie del 2007 (in particolare dal minuto 3.30 in poi) e ricordiamo che a suo tempo il diritto degli immigrati a votare per le primarie fu sancito solennemente con l’argomento che un partito favorevole al voto per gli immigrati non poteva non applicare questo principio anche alle primarie. Non si ricorda che allora nessuno chiedesse di fare eccezione per i cinesi.
Per i dati di fatto ci fermiamo qui. Altri dettagli non servono. Perché per scatenare quello che è stato scatenato in questi giorni, in qualsiasi elezione, fosse anche l’elezione dell’amministratore di condominio, occorrono fatti solidi come pietre. Accuse di brogli, voci di scorrettezze, singoli episodi di malcostume o di irregolarità costellano ogni elezione democratica, anche elezioni ben più serie, regolate e verificabili delle nostre singolari primarie, come sono le elezioni politiche, dove non per nulla a sovrintendere a tutte le operazioni c’è un ministero dell’Interno. Per potere anche solo immaginare di tenere elezioni senza avere né prefetture, né forze dell’ordine, né tribunali, serve qualcos’altro. Serve un rispetto di sé e delle regole del gioco, del proprio partito e dei suoi elettori, talmente forte e condiviso da costituire una muraglia invalicabile, una difesa capace di sopperire da sola alla mancanza di carabinieri, giudici ed esercito. Un rispetto di sé e degli altri ben superiore a quello dimostrato dal Partito democratrico.
L’aspetto più sottovalutato di questa vicenda è però un più generale aspetto simbolico, che riguarda tutto il Mezzogiorno. E non solo perché il responsabile del Partito democratico per il Mezzogiorno si chiama proprio Umberto Ranieri. Il fatto è che dopo avere tenuto la propria Assemblea nazionale nel cuore del Settentrione leghista, a Varese, non per caso il Pd doveva tenere la successiva a Napoli, nel cuore del Mezzogiorno. E non per caso doveva farlo all’indomani delle primarie, per lanciare proprio da qui, dopo tanti scandali, dopo il triste e maleodorante tramonto del bassolinismo, la sua proposta di riscatto per la città e per tutto il Meridione. E’ finita come sappiamo. Anzi, peggio. E’ finita che dopo avere rinviato l’assemblea di Napoli per paura delle contestazioni, ecco che il Pd decide serenamente di lasciar perdere Napoli e tenerla a Roma, la sua assemblea. Il messaggio che ne emerge è fin troppo chiaro.
Giunti a questo punto, c‘è davvero poco da fare. Inutile nascondersi dietro la pronuncia di una commissione di garanzia che nessuno ha voluto aspettare, adesso che la frittata è fatta. Figurarsi se la principale accusa è quella che Ranieri lancia oggi dalle colonne del Giornale di Alessandro Sallusti: “Il fatto che si siano attivati galoppini di centrodestra, con i loro codazzi di sostenitori, per condizionare le primarie del Pd”. Che novità. Ma se la regola intoccabile delle primarie del Pd, difesa a spada tratta da Veltroni ancora in questi giorni, è proprio che può votare chiunque, che cosa si dovrebbe verificare? Con chi ve la volete prendere? E per quale ragione quello che alle tanto celebrate primarie vinte da Matteo Renzi si chiama “rinnovamento” a Napoli si chiama “imbroglio”? Non si erano sentite forse le stesse identiche accuse anche a Firenze?
Adesso, però, fa davvero ben poca differenza se in questo o in quel seggio Umberto Ranieri abbia preso un voto in più o in meno. Quello che conta è che non si è esitato un istante, nemmeno il tempo necessario a capire cosa fosse accaduto, prima di scatenare la micidiale campagna di delegittimazione di quel voto, del proprio stesso partito e di un’intera parte del paese. Quello che conta è che nel Pd nessuno ha avuto il coraggio di fermare questa campagna e di mettersi controvento, invece di ripetere che non si vedeva l’ora di candidare l’ennesimo magistrato, avallando così ancora una volta l’immagine di un commissariamento morale della sinistra da parte dei pubblici ministeri, casomai Berlusconi restasse a corto di argomenti. Quello che conta è che nessuno è intervenuto in difesa non di Cozzolino, ma del Partito democratico, degli elettori di Napoli e di tutto il Mezzogiorno. Più di ogni altra cosa è questo autentico atto di diserzione democratica quello che conta. Ed è una macchia che nessuna commissione di garanzia potrà cancellare.