Nell’intermezzo tra lo scioglimento dei ruvidi Pussy Galore – gruppo meglio apprezzato proprio dopo lo split – e la collaborazione con i raffinati Boss Hog della moglie Cristina Martinez, Jon Spencer forma quello che forse avrebbe dovuto essere il suo gruppo collaterale e ha finito, invece, con l’essere un impegno a tempo pieno: i Blues Explosion esistono dal 1992 con formazione immutata (oltre a Jon, impegnato tra sei corde e tastiere, Judah Bauer al basso e seconda chitarra, Russell Simins – dagli Honeymoon Killers – alla batteria) e hanno all’attivo otto lavori in studio, dall’iniziale “J.S.B.E.” del ‘92 al recente “Damage”, più le versioni extra di “Acme” (“Xtra Acme”, ‘99) e “Plastic Fang” (”Fang Plastique”, ‘02). Proseguimento dei P.G. nell’approccio sregolato e volutamente grezzo alla musica, i Blues Explosion sono piena espressione della personalità studiatamente trasandata del loro leader: ogni brano sembra improvvisato, composto e suonato al momento; viceversa, pochi sono attenti quanto loro nel collocare la distorsione giusta al momento giusto; e nel mescolare stili e influenze differenti nel quadrilatero rock-rythm’n’blues-funky-punk e ottenere questa rumorosa miscela da ex-adolescenti restii alla maturità (o a quello che altri definiscono maturità).
Nostalgici in egual misura del rock anni ’50, del power-blues fine anni ’60 – inizio anni ’70, Jon e soci esercitano un citazionismo devoto quanto ironico che unisce Elvis ai Rolling Stones, Hendrix agli Allman Brothers, B.B.King a James Brown, rifatti e ampiamente traditi. Il sound dei B.E. sa di cantina, stanza d’albergo, al massimo sala da ballo di periferia; così come l’iconografia dei loro album varia (si fa per dire) dal rifacimento della grafica pop anni sessanta, al minimalismo dei gruppi blues tradizionali, ai fumetti dell’orrore, sino al doorsiano “Memory Motel” che li ospita sul booklet di “Damage”. Il nuovo lavoro mantiene salde tutte le caratteristiche descritte e, pur non collocandosi tra i più riusciti, rimane apprezzabile: di rilievo, l’iniziale title-track; la scatenata “Fed Up And Low Down”, con James “Contortions” Chance; l’involuta “Rattling”; la nostalgica “Crunchy”, dove Jon sembra divertirsi a imitare David Bowie. L’unica vera novità è l’aggiunta di una scorza di rap al cocktail della casa: in “Hot Gossip”, la voce di Chuck D è il quarto strumento per un’ennesima scorribanda – calda quanto il titolo – tra i generi.
Come sempre, anche questo album dividerà la critica, finendo amato e detestato in egual misura. L’essenza di Jon Spencer, del resto, è l’incompiutezza; un salto continuamente spiccato senza mai atterrare; il suo scopo non è riproporre o riscoprire un determinato genere, ma soddisfare le sue ossessioni, in questo simile a Dave Wyndorf dei Monster Magnet. Entrambi oscillano tra genio e cialtroneria con caparbia, orgogliosa consapevolezza, trovando nella loro perfetta imperfezione la giusta misura.
Astenersi se deboli di cuore. O puristi.