Nelle cronache politiche di questi giorni, c‘è il rischio che la proposta di Luca Cordero di Montezemolo perda, per superficialità o anche solo per esigenze di spazio nei titoli di giornale, il suo caratteristico formato, e diventi quella, in fondo banale, di una lista civica nazionale. Cosa ha infatti detto il Presidente della Ferrari? Che l’attuale bipolarismo non funziona più. Che ci vuole una riforma della legge elettorale che cancelli un assurdo premio di maggioranza il quale, affibbiato alla coalizione prima classificata, condannerebbe una ipotetica terza forza del 15-20 per cento all’irrilevanza. Che in Italia sono vent’anni che trenta persone, sempre le stesse, si limitano a cambiare nome ai partiti come fossero dei marchi, ma restano in realtà sempre gli stessi – e qui avrebbe pure ragione: i partiti non debbono certo essere ridotti a marchi, ma è bene sapere che la soluzione difficilmente può essere quella di percorrere allora la strada inversa, e trasformare direttamente marchi e griffe in partiti.
Dopodiché – raccontano le cronache – al termine di un’analisi coraggiosa, lucida e impietosa, in cui ce n’era per il fallimento della maggioranza ma soprattutto per l’inconcludenza dell’opposizione (che “è andata sui tetti ma non ha espresso una cultura alternativa”: e, effettivamente, voi ve lo immaginate Montezemolo non dirò produrre una cultura alternativa, ma salire sui tetti?), ha lanciato con forza l’idea di un “grande movimento”, di una “grande lista civica nazionale”. Grande, sia chiaro: a questo il nuovo protagonista della politica italiana tiene molto. E però i giornali, sciatti oppure malevoli, la presentano nei titoli senza quell’aggettivo che ne stabilisce ed esalta le dimensione. E, insieme, ne chiarisce finalmente la natura.
Grande: la lista civica nazionale sarà grande. Solo una lista civica grande è all’altezza dei problemi del paese – e, forse, delle ambizioni dell’uomo. Naturalmente la lista ha da essere civica, che è l’emolliente con il quale si ripulisce la politica da tutte le sue scorie e brutture, ma soprattutto grande. La differenza fra i rottamatori di Renzi e i Montezemolo è, forse, tutta qui: quelli sono per il nuovo, questi è per il grande. E grande è l’aggettivo giusto, quello che consente di stabilire con esattezza, per l’intelligenza di lettori e futuri elettori, il necessario collegamento con le pagine che Robert Musil dedica, nel suo capolavoro, L’uomo senza qualità, al grand’uomo.
Il grand’uomo è Paul Arnheim, che “non era soltanto un uomo ricco ma un uomo superiore”, e in cui si poteva vedere finalmente realizzato “il connubio dell’anima con l’economia”, ovvero “fra l’idea e il potere”. “Gli spiriti sensibili – continua l’antiveggente Musil – dotati di un sottilissimo fiuto per il futuro, sparsero l’annuncio che egli riuniva in sé quei due poli abitualmente divisi, e favorirono la voce che una forza nuova era in cammino”. Non c‘è dubbio: si parla dell’associazione «Italia futura» ed il grand’uomo, “l’outsider geniale” (o, ipse dixit, il “nuovo protagonista”) è proprio lui, Luca Cordero di Montezemolo. È lui che è in grado di esporre, davanti a un paese stanco e infiacchito, “natura e sostanza di una grande idea”, e di parlare per esempio così: “Gli sciocchi si immaginano che aver denaro sia un godimento. Invece è un’inquietante responsabilità”. Non è infatti per lo stesso, inquietante senso di responsabilità che Arnheim-Montezemolo “sente il dovere di fare qualcosa per il Paese”? (Se avete perso di vista quale delle ultime citazioni fra virgolette sia nel libro di Musil e quale nel resoconto giornalistico di ieri non è colpa vostra).
Se però amate Robert Musil, allora vi riuscirà difficile dimenticare queste ultime virgolette: “Arnheim parlava con signorile pacatezza. Ulrich colse l’espressione «portare il pensiero nelle sfere del potere». Non poteva soffrire Arnheim, semplicemente come forma di esistenza, per principio, il tipo Arnheim. Quella combinazione di spirito, affari, vita comoda e cultura gli era supremamente intollerabile”. Così come gli erano odiosi la congiunzione di “competenza gaudente” e “grinta contraffatta”, e “il caso tipico di uno sviluppo spirituale impinguato dal favore degli avvenimenti”: e di nuovo sembra ancora lui, il contemporaneo Montezemolo. Salvo che l’ironia di Musil non risparmia neppure l’irriverente Ulrich, che appare persino invidioso nel condurre una “lotta insensata” contro un uomo al quale arridono intelligenza e ricchezza.
Quell’uomo, d’altronde, era modellato su una figura illustre, Walter Rathenau, morto assassinato per mano di fanatici reazionari. Per fortuna di tutti, Montezemolo non corre di questi rischi: d’altronde, è ben difficile che abbia in testa quella utopistica (ma moderata) conversione democratica del capitalismo, che invece spaventò la Germania di Rathenau. Né le svolte a destra della politica italiana somigliano a quelle, davvero tragiche, che portarono alla fine della Repubblica di Weimar. Al massimo, si può ricordare ancora una volta che la storia si ripete in forma di farsa. Anzi, di operetta. E, dopo tutto, non è meglio così?