Di questi tempi la vita politica svizzera non deve offrire grandi occasioni di svago. Pur avendo già esposto ampiamente la sua tesi sul Foglio – e dopo la breve parentesi promozionale dedicata al suo libro, in cui per l’occasione ha avuto modo di definire Pier Luigi Bersani “totalmente inadeguato” e Massimo D’Alema un “problema umano” – Carlo De Benedetti è tornato infatti a perorare la causa del taglio delle tasse e della lotta all’evasione fiscale nel nostro paese, stavolta sul Sole 24 Ore.
Qualche settimana fa dalle colonne del Foglio e ieri dal quotidiano della Confindustria, l’editore di Espresso e Repubblica non fa dunque mancare il suo autorevole sostegno alla linea Brunetta del rilancio della crescita attraverso il taglio delle tasse e della spesa pubblica. Quindi, rivolgendosi direttamente a Giulio Tremonti, lo incalza: “E’ al governo, il governo del fare, allora faccia”. Ma al tempo stesso lo rassicura: “Se lavora senza indugi in questa direzione avrà, per quel che vale, il mio appoggio”.
Proprio sul Sole 24 Ore del giorno prima, però, ci pare che il professor Marco Fortis abbia dato un’interpretazione assai diversa della fase e dei problemi dell’Italia di oggi. “Sono ormai molti – scrive Fortis – coloro che si sono convinti ex post che nell’ultimo decennio è stato di gran lunga preferibile avere un moderato aumento del Pil, come hanno fatto Italia e Germania, piuttosto che ostentare un’espansione economica apparentemente brillante al 4% annuo costruita sui debiti (pubblici o privati), ‘scassando’ alla fine i conti patrimoniali aggregati nazionali, come hanno fatto Grecia, Irlanda e Spagna”. Meno facile, prosegue il professore, risulta convertire i più irriducibili ammiratori del modello anglosassone del fatto che anch’esso ha “deragliato”. E ammettere che “la superiore crescita di Stati Uniti e Gran Bretagna rispetto alle manifatturiere Italia e Germania sia dipesa negli ultimi 10-15 anni più dalla ‘droga’ del debito che non dai servizi avanzati o dalle nuove tecnologie”.
Resterebbe comunque da spiegare il divario tra la scarsa crescita italiana e la crescita assai più sostenuta di altri paesi non “drogati” come Francia e Germania (in proposito Fortis avanza pesanti dubbi circa lo stesso sistema statistico impiegato in quei paesi, su cui non ci sentiamo di esprimere un giudizio). E tuttavia non è né la Germania né la Francia il modello che ci è stato indicato in questi anni, con un martellamento ideologico degno di miglior causa.
La nostra impressione, insomma, è che vi sia un legame più stretto di quanto si pensi tra le opinioni economiche e le opinioni politiche espresse in questi anni da Carlo De Benedetti, dal gruppo Espresso-Repubblica e da tutto quel vasto mondo intellettuale, artistico, accademico e giornalistico che gli ruota attorno. Un legame riassumibile nella generale fascinazione per il “modello anglosassone”, che si applichi all’economia (come abbiamo visto), alla politica (partiti leggeri e incentrati sul leader) o alle istituzioni (quel bipolarismo “tendenzialmente bipartitico” a lungo inseguito da Walter Veltroni). Tutto il resto, il radicalismo antiberlusconiano e giustizialista, l’enfasi sui diritti civili e la vena anticlericale, servono come condimento per insaporire il piatto, e renderlo digeribile anche a palati meno raffinati. Ma il piatto resta un sistema in cui non solo l’economia, ma la stessa vita interna dei partiti è di fatto ostaggio della finanza, che ne detta i tempi, le mosse e persino le leadership.
I risultati economici di un simile modello sono oggi sotto gli occhi di tutti, e sono la causa prima di quegli attacchi allo stato sociale che oggi si annunciano minacciosi in tutta Europa. Ma anche dei risultati politici e istituzionali di quella ricetta abbiamo avuto ampi riscontri nel nostro paese, come si vede dalla penosa condizione in cui è stato lasciato il Partito democratico dopo oltre due anni di infatuazione americanista, rachitismo organizzativo e ipertrofia comunicativa (anche in questo campo la cultura del primato dell’immateriale ha dato i suoi buoni frutti).
Certo però su un punto De Benedetti ha ragione. La lotta all’evasione fiscale dovrebbe essere una priorità. E per combatterla sul serio, sostiene, basterebbe “un provvedimento semplice-semplice: l’obbligo di allegare alla propria dichiarazione dei redditi l’estratto conto bancario”. Peccato però che non si farà mai, concede lo stesso De Benedetti. “Me ne parlava, quanti anni sono passati, l’amico Bruno Visentini, che aggiungeva con pessimismo: «Ma le lobby interessate al segreto bancario non lo permetteranno mai»”. Conclude quindi il finanziere-editore: “Possiamo mandare in malora un paese perché la politica è tanto debole da non saper affrontare quelle lobby?”.
Buona domanda. Di sicuro, non mancheremo di dedicare alla questione la riflessione che merita. Ma nel frattempo, nel nostro piccolo, ci accontenteremmo di non mandare definitivamente in malora la sinistra.