Sui giornali c’è finito sotto forma di “bocciatura dei vescovi al federalismo fiscale”, che in effetti una notizia era. Eppure non era propriamente questa la notizia, riguardo al Documento preparatorio per la 46esima settimana sociale dei cattolici reso pubblico una settimana fa. In quelle pagine, infatti, c‘è molto altro oltre al no a un federalismo troppo ideologico e quindi rigido e non adeguatamente ispirato al principio di sussidiarietà, caposaldo storico della dottrina sociale della Chiesa. Ci sono precise parole sulla cittadinanza (un deciso sì al suo riconoscimento per le seconde generazioni di immigrati), ma anche su campi che i documenti della Chiesa italiana non frequentano, o meglio, non frequentano più: la necessità di completare la transizione istituzionale (su cui si scrissero pagine e pagine all’inizio degli anni 90, poi più nulla se non frasi di circostanza), e di farlo secondo un modello democratico che valorizzi la scelta dell’elettore e i ruoli di governo e opposizione, ma anche «favorisca la crescita di una società poliarchica» e contrasti «le esiziali e strumentali tentazioni antipolitiche». C‘è l’auspicio di una via d’uscita dalla crisi che passi per lo sviluppo di un mercato più flessibile perché più aperto, meno infestato di precarietà da un lato e privilegi corporativi dall’altro, e nel quale il ruolo dello stato non stia solo in un assistenzialismo compassionevole verso chi “non ce la fa”, ma sia un intervenire attivo per favorire il rilancio e la crescita dell’economia. C‘è una richiesta aperta di riduzione della pressione fiscale, soprattutto della pressione sul lavoro e sugli investimenti, e a svantaggio della rendita. C‘è un capitolo sull’argomento più tradizionale della “sfida educativa” che non rinuncia a esprimersi contro i tagli alla scuola e la carente valorizzazione del ruolo degli insegnanti, e non nasconde perplessità sul prossimo “decentramento” dell’offerta formativa.
Si potrebbe dire che alle incursioni nell’attualità i vescovi italiani ci hanno abituato da tempo. Ma sarebbe superficiale. Lo spirito del Documento preparatorio, infatti, è totalmente innovativo rispetto a quello a cui in questi ultimi anni abbiamo spesso assistito: la rivendicazione del “ruolo pubblico” della Chiesa in nome del suo diritto–dovere di difendere i propri valori, rigorosamente “non negoziabili”, con il mondo laico vissuto sempre come e necessariamente come controparte. Intendiamoci, non è che il Documento non insista sul dovere di difendere la vita o la famiglia fondata sul matrimonio. Tuttavia esso pone questi temi, per così dire, in premessa, e a partire da essi va alla ricerca di soluzioni tutt’altro che non negoziabili. In quel conciliare «spirito di amicizia» verso la comunità civile e «gli uomini e le donne di buona volontà» che il cardinale Bagnasco aveva richiamato nel suo saluto al seminario di studi genovese sul centocinquantenario dell’Unità d’Italia che ha preceduto il varo del Documento, il testo va dichiaratamente alla ricerca dei «problemi realisticamente affrontabili», scegliendo l’ottica di chiamare “problema” non un ostacolo o una difficoltà, ma «la compresenza in una determinata situazione di alternative realistiche, di motivi ragionevoli o di spazi praticabili per soluzioni diverse».
Probabilmente non è un caso se questo approccio culturale così diverso si riscontra in un documento per il quale monsignor Arrigo Miglio, presidente del comitato organizzatore della settimana sociale, ha messo al lavoro, lasciando ampia delega, un qualificato gruppo di studiosi ed esperti laici, coordinati dal sociologo Luca Diotallevi e da Edo Patriarca, a lungo portavoce del Forum del terzo settore. Che hanno lavorato girando l’Italia, ascoltando molto la Chiesa di base e senza complessi verso la politica: se nelle ultime edizioni delle settimane sociali si era arrivati addirittura a teorizzare che i politici non dovessero essere invitati ad assistere ai lavori, per timore di strumentalizzazioni e distorsioni del messaggio, in questi mesi i parlamentari sono stati ripetutamente consultati e convocati. A queste riunioni, riservate ma aperte a tutti, si racconta che abbiano partecipato in media poco più di una trentina tra onorevoli e senatori: la pattuglia dell’Udc quasi al completo, il Pdl e la Lega praticamente assenti, il Partito democratico a fare il grosso delle presenze, a partecipare, a contribuire più di tutti. Un dettaglio, questo, ma alla Cei l’hanno notato.