Nei giorni in cui prendono il via le celebrazioni del suo centocinquantenario, l’unità nazionale non sembra passarsela troppo bene, e probabilmente non è un caso che al rinnovato slancio degli spiriti antiunitari nel nostro paese corrisponda la più grave crisi dell’Unione europea dalla sua nascita a oggi. Vista dall’Italia, come nota qui Ronny Mazzocchi, la drammatica impasse dell’Europa dinanzi al rischio di un default della Grecia ricorda per molti aspetti la crisi del ’92, certamente il momento più drammatico per la nostra unità nazionale: l’avanzata della Lega, lo sfarinarsi dei partiti tradizionali e la crisi economica portarono allora l’Italia sull’orlo del collasso – e della bancarotta – mentre buona parte della sua classe dirigente politica veniva decapitata dalle inchieste giudiziarie. La risposta, allora, fu la scelta di entrare nell’Unione europea. Una risposta per nulla scontata, e che infatti fu portata avanti tra non poche esitazioni e contrasti. Fu allora, però, che i partiti di quello che solo diversi anni dopo sarebbe diventato il centrosinistra si fecero promotori di uno sforzo collettivo, insieme con i sindacati, la Confindustria e la Banca d’Italia, per ancorare l’Italia al gruppo di testa dei paesi dell’Unione monetaria, unica soluzione che ne avrebbe garantito la tenuta non solo economica, ma anche politica e civile.
La situazione in cui ci troviamo oggi non è meno drammatica. Quello che oggi ancora non si vede, però, è una risposta altrettanto forte, capace di riunificare le forze migliori del paese e di mobilitarle per un obiettivo comune. Pier Luigi Bersani ha parlato di un patto repubblicano. Pier Ferdinando Casini parla oggi di un governo di salute pubblica. Certo è che lo scontro tra Silvio Berlusconi e Gianfranco Fini nel Pdl e le sempre più evidenti difficoltà della maggioranza impongono all’opposizione di assumere l’iniziativa, per mostrare da subito la possibilità di un’alternativa. Perché nulla in politica, specialmente in una fase di crisi, è più pericoloso del vuoto. Da questo punto di vista, le polemiche su Fini e Casini venute dagli esponenti di Area democratica fanno semplicemente cadere le braccia, ma da parte del Pd non sarebbe meno assurdo posizionarsi ora – per colpire il ministro dell’Economia – sulla linea Brunetta del meno tasse e più tagli alla spesa pubblica. Una linea che apparirebbe se non altro decisamente fuori tempo, ancorché recentemente, autorevolmente sposata da Carlo De Benedetti.
Dal lungo ciclo berlusconiano l’Italia uscirà, e prima di quanto si creda, questo è sicuro. Ma potrà uscirne in due modi: attraverso un processo di stabilizzazione moderata, con l’opportuno concorso di tecnici e altre autorevoli personalità provenienti dal fior fiore del nostro establishment, accompagnati magari dal consueto tintinnar di manette e dalle campagne di stampa contro i partiti, oppure attraverso una ridefinizione delle basi politico-istituzionali della Seconda Repubblica, guidata dai partiti e governata dal Parlamento. La via d’uscita dalla lunga stagione berlusconiana può coincidere insomma con il primo atto di una rinnovata democrazia parlamentare, a partire dallo smantellamento di questo inefficientissimo bipolarismo di coalizione, vera anomalia italiana e autentico fondamento tanto dello strapotere berlusconiano quanto dell’impotenza dei suoi avversari, o con l’ultimo stadio della sua progressiva decomposizione. Ci pare non possa essere in dubbio, dinanzi a una simile alternativa, da che parte debba stare il Partito democratico. Per equilibristi, giocolieri e mangiatori di fuoco, non c‘è più tempo.