Il caso Kurras e le origini della tensione

La stampa italiana ha dedicato poca attenzione alla notizia, che ha invece acceso in Germania un accalorato dibattito sul recente passato. Eppure si tratta di una rivelazione che dovrebbe suscitare un certo interesse anche qui, almeno in una parte della sinistra italiana. Il 21 maggio scorso, il quotidiano Frankfurter Allgemeine e il canale pubblico Zdf svelavano il ritrovamento di un dossier della Stasi dedicato a Karl-Heinz Kurras, il poliziotto di Berlino Ovest che il 2 giugno del 1967 sparò allo studente Benno Ohnesorg. Dai documenti ritrovati da due collaboratori della Birthler Behörde, l’ente incaricato di studiare l’archivio della Stasi, risulta che Kurras era dal 1955 un agente della Stasi e dal 1964 iscritto anche al partito unico della Germania Democratica, la Sed. Una rivelazione di portata notevole. Perché quel 2 giugno del 1967 ha segnato nella storia della Repubblica Federale, emersa dagli orrori del Terzo Reich, uno spartiacque. La morte del ventisettenne Ohnesorg, uno studente di sinistra neanche tra i più impegnati, per i suoi coetanei era stata la prova provata che la generazione dei padri non si era affatto distanziata dall’autoritarismo del Terzo Reich. Quell’omicidio e la successiva assoluzione di Kurras avevano anzi esacerbato la protesta studentesca e accelerato il passaggio di alcuni di loro alla lotta armata, come scrive l’ex direttore del settimanale Spiegel, Stefan Aust, autore di un recente saggio sul “Complesso Baader-Meinhof”. Non a caso uno dei gruppi, la “Bewegung 2. Juni”, nato come filiazione della Rote Armee Fraktion (nota anche come banda Baader-Meinhof) si riferiva apertamente a quella giornata di sangue. Inevitabile chiedersi dunque, come si chiedono i tedeschi: ma se Kurras era un agente della Stasi, il mandate di quell’omicidio non poteva essere proprio la Ddr?
Ora, almeno fino a oggi, non ci sono prove che Kurras abbia sparato su ordine della Stasi. Non ci sono prove che vi sia stata una regia occulta da parte della Germania Est, per scatenare e alimentare una stagione di rivolta e di terrore in Germania Ovest. Certo però fa impressione notare alcune coincidenze. Quest’anno si festeggiano i venti anni dalla caduta del Muro, e se i tedeschi amassero la dietrologia, potrebbero anche chiedersi come mai, giusto qualche giorno dopo le rivelazioni sul caso Kurras, è comparso anche un altro documento dal quale si apprendeva che era stato soprattutto Kruscev a volere, più del leader tedesco orientale Ulbricht, la costruzione del Muro.
I fatti di quel lontano 2 giugno 1967 sono i seguenti. Lo scià di Persia, Reza Pahlavi, era in visita di stato nella Germania Occidentale e quella sera doveva assistere a una rappresentazione lirica alla Deutsche Oper di Berlino ovest. In città diverse centinaia di studenti si erano raccolti per protestare contro il regime repressivo dello scià. La polizia era stata durissima e non aveva annunciato prima per megafono lo sgombero delle strade, com’era invece tenuta a fare. Aveva seguito la tattica suggerita dall’allora capo della polizia Erich Duensing: la cosiddetta “mossa del salsicciotto”, che voleva dire “strozzare il corteo ai suoi due estremi e poi pungerlo nel bel mezzo”, come Duensing stesso spiegò in sede processuale. La situazione si era fatta incandescente, incontrollabile. Nelle strade contigue al teatro i poliziotti usavano il manganello contro chiunque capitasse loro a tiro, protetti e aiutati dagli idranti che funzionavano a pieno ritmo. I manifestanti cercavano di mettersi al riparo nei cortili interni delle case. Ma lì entravano in azione i poliziotti in abiti civili. Uno di questi era Kurras. Fu lui a sparare alle ore 20 il colpo fatale, perché – così la sua deposizione – accerchiato e minacciato da tre giovani con coltelli in mano. Lui allora aveva sparato un colpo in aria, d’avvertimento. Il secondo, che colpì lo studente, era invece partito accidentalmente. La foto di Benno Ohnesorg riverso a terra, in una pozza di sangue, con accanto una ragazza che gli tiene la testa, fece il giro del mondo e ancora oggi resta un’immagine manifesto della rivolta studentesca che seguì. Per i ragazzi della sinistra con quell’omicidio lo stato aveva “gettato la maschera, mostrandosi per quel che era”.
Lì per lì le autorità cercarono di addossare la colpa ai manifestanti, in questo sostenute soprattutto dai giornali dell’editore Springer. “Chi produce terrore deve mettere in conto repressione”, scriveva la Berliner Zeitung, mentre la Bild Zeitung accusava i giovani di ricorrere “a metodi da SA”. Ma già a metà settembre si dimettevano uno dopo l’altro l’allora sindaco di Berlino Heinrich Albertz, il comandante della polizia di Berlino ovest, Erich Duensing, e il responsabile degli Interni del Senato di Berlino, Wolfgang Büsch. Kurras dal canto suo fu processato per omicidio colposo (non venne invece ammessa l’imputazione di omicidio doloso).
Molte furono le sue contraddizioni, a cominciare da quei tre giovani che lo minacciavano con il coltello (versione peraltro smentita da testimoni oculari). Ma venne assolto. Il sindacato dei poliziotti gli aveva messo a disposizione 60mila marchi per un avvocato difensore di prim’ordine e il corpo di polizia l’aveva coperto, anche se stando alle testimonianze c’erano stati colleghi che nei momenti concitati dopo il colpo mortale gli avevano urlato: “Sei pazzo a metterti a sparare qui”. Kurras se la cavò in prima e seconda istanza. Quattro anni dopo avrebbe anche ripreso il suo servizio in polizia. Nel dicembre del 2007, alla domanda di un giornalista se si pentiva di quell’errore, Kurras aveva risposto: “Errore? Non avrei dovuto sparare giusto un colpo, ma sei, sette. Chi mi attacca lo distruggo. Punto”.
Il suo proscioglimento aveva gettato benzina sul fuoco. “Gran parte dei giovani manifestati del 2 giugno 1967 perdettero non solo la fiducia nella polizia, ma anche nella giustizia”, scrive lo Spiegel. Una spirale di violenza iniziò a prendere in ostaggio il paese e causò un altissimo tributo di sangue: 34 le vittime uccise per mano della Raf, 27 i morti tra i terroristi, centinaia i feriti.
Il filosofo Theodor W. Adorno aveva definito Kurras “un individuo potenzialmente fascista dal carattere autoritario”. Nel 1967 Kurras aveva 39 anni. Alle spalle una vita già intensa. Aveva servito nella Wehrmacht, fatto tre anni in un campo di prigionia, poi era entrato nella polizia di Berlino Ovest. Di lui si sapeva che aveva una passione, anzi una sorta di malattia per le armi e il poligono, dove si era guadagnato più di un premio. Anche per questo la descrizione fattane da Adorno, loro filosofo di riferimento, per i ragazzi del 68 tedesco calzava a pennello.
La doppia vita di Kurras, scrive der Spiegel, inizia il 19 aprile del 1955. L’allora ventisettenne poliziotto in servizio a Berlino Ovest si reca nella parte orientale della città (il Muro sarebbe stato eretto sei anni dopo) chiedendo di poter parlare con il responsabile dei servizi di sicurezza. Voleva trasferirsi a Est, mettersi al servizio della Vapo (la polizia del popolo operativa nella Ddr), perché deluso dallo sviluppo politico della Repubblica Federale. Ma la Stasi si rende conto di avere tra le mani un soggetto prezioso e lo convince a restare a Berlino Ovest, da dove poteva essere assai più utile alla causa, in veste di agente. Per rendergli la proposta più appetibile gli era stato promesso un aiuto determinante per la carriera. Kurras, che d’ora in poi sarà l’agente Otto Bohl, aveva accettato (come risulta da un documento scritto di suo pugno) e la Stasi aveva mantenuto la promessa. Nel 1965 veniva promosso alla sezione I della polizia di Berlino Ovest. Un posto da sogno per ogni agente dell’est: la sezione si occupava delle spie e degli informatori che la Ddr mandava a ovest. Kurras si era trovato dunque ben presto nella situazione a dir poco bizzarra di dover interrogare i “suoi colleghi”.
Per dodici anni “l’agente Bohl” fornisce alla Stasi informazioni di altissimo livello, tra cui resoconti dettagliati su fuggiaschi dell’est, interi organigrammi della polizia, ma avvisa anche gli uomini di Erich Mielke (il grande capo della Stasi) di imminenti perquisizioni nelle case di persone sospettate di spionaggio. L’agente Bohl veniva considerato una fonte preziosissima: lo testimoniano anche i pagamenti a suo favore, in tutto 20 mila marchi (per i tempi di allora una cifra non da poco) e l’equipaggiamento tecnico fornitogli (il suo appartamento era diventata una base di ricetrasmissione). Piaceva anche la sua spregiudicatezza. Se a spingerlo a iscriversi a Berlino ovest nel partito socialdemocratico era stata la Stasi, altre iniziative le aveva prese lui. Sapeva di essere assai stimato anche tra i suoi colleghi occidentali e così, a inizio ’64, aveva chiesto di “potersi rendere maggiormente utile nella protezione del nostro governo”. I superiori accolgono la sua richiesta e un anno dopo gli viene affidato il compito di intercettare le radiocomunicazioni provenienti dalla Stasi. La sua ossessione per le armi e per il poligono era nota anche a Berlino est. Ai suoi datori di lavoro della Germania orientale si era rivolto per avere un’altra pistola, difficile da recuperare a ovest, una P 38.
Per la Ddr era una fonte preziosissima, ma anche compromettente. Così, dopo lo sparo fatale del 2 giugno 1967, la Stasi gli ordina lì per lì di sospendere qualsiasi contatto con loro e di distruggere tutto il materiale in suo possesso (cosa che peraltro fecero anche loro). Di fatto lo scaricano. Lui, anni dopo, nel 1976, aveva provato a offrire nuovamente i suoi servigi, ma i servizi dell’est non ne vollero più sapere.
Oggi l’81enne Karl-Heinz Kurras vive in una villetta plurifamiliare a Berlin Spandau, un sobborgo della capitale. Quando il 21 maggio uscì la notizia della sua doppia vita, reagì rabbiosamente, negando qualsiasi coinvolgimento con la Stasi. Ma già una settimana dopo ammetteva la sua collaborazione, insistendo però risolutamente che “da quelli lì” non aveva mai ricevuto un soldo. Poi, per non smentirsi, aveva risposto sarcastico a un giornalista del Tagesspiegel di aver ammazzato Benno Ohnesorg giusto “per divertimento”.
Ma se la spietatezza delle risposte di Kurras rientra per la gran parte dei tedeschi nel quadro di una persona evidentemente disturbata e da anni affetta da problemi di alcolismo, restano alcune domande che le recenti rivelazioni pongono. Innanzi tutto, fu la Stasi a ordinare l’omicidio di Ohnesorg per dare il via a una destabilizzazione della Germania occidentale? Un quesito che in mancanza di prove schiaccianti, lascia solo spazio alle speculazioni. Uno spazio ampliato ora anche da un sospetto avanzato dal figlio di Rudi Dutscke, Marek. Rudi Dutschke, il carismatico leader del movimento studentesco tedesco, era stato ferito gravemente l’11 aprile del 1968 con tre colpi di pistola sparatigli dall’operaio Joseph Bachmann (simpatizzante dell’estrema destra, ma soprattutto aizzato, così dicevano gli studenti, dalla feroce campagna anti studentesca lanciata dai giornali dello Springer Verlag, additato dai giovani come “vero mandante” sia del drammatico esito del 2 giugno di un anno prima, che del ferimento di Dutschke). Dall’attentato Dutschke aveva riportato persistenti menomazioni, tra cui danni cerebrali. Undici anni dopo, mentre faceva il bagno nella sua casa in Danimarca, fu colto da una crisi epilettica e annegò. Il figlio Marek ricorda ora però una lettera che Rudi scrisse il 25 febbraio del 1975 alla moglie Gretchen. Una lettera da leggersi solo in caso di “disgrazia”. In quel messaggio le confidava il suo più grande timore: “C’è una cosa che non devi mai dimenticare. Se ci sarà una mia ‘uscita di scena’ è, stando allo stato attuale delle cose, assai più probabile che sia opera dei servizi segreti della Ddr e non di quelli occidentali”. “Negli anni Settanta la Stasi era convinta che Dutschke fosse a capo di una congiura contro l’Unione Sovietica e i suoi stati satelliti”, scrive la moglie Gretchen nella biografia sul marito, uscita nel 1996.
Che il regime di Ulbricht e poi Honecker fosse assai attivo anche a Ovest non è mai stato un mistero. Il caso più noto anche all’estero fu quello di Günter Guillaume, messo dalla Stasi alle calcagna di Willy Brandt, del quale divenne uno dei più stretti collaboratori. Uno scandalo che, divenuto pubblico, indusse il cancelliere socialdemocratico a dimettersi il 6 maggio del 1974, cioè due settimane dopo l’arresto di Guillaume. I tedeschi ricordano anche l’operazione “Stern 2” attraverso la quale la Ddr permise nel maggio del 1980 a una decina di terroristi dell’organizzazione “Bewegung 2. Juni” di rifugiarsi nella Germania dell’est e di assumere una nuova identità. Nel 1968 invece, Stern aveva lanciato una campagna di accuse contro l’allora capo di stato tedesco Heinrich Lübke reo, così scriveva il settimanale, di aver servito i nazisti come “imprenditore edile di Lager”. Stern si basava su documenti forniti dalla Sed. Lübke si dimise. Dopo la caduta del Muro furono due funzionari della Stasi ad ammettere che quel materiale infamante era stato manipolato ad arte.
Il poliziotto Kurras è stato dunque esecutore di un ordine della Stasi? E Rudi Dutschke è morto o no in seguito a una crisi epilettica? I tedeschi su questi argomenti non amano speculare senza un appiglio reale. Già c’è da fare i conti con una verità inconfutabile: il doppio gioco di Kurras. E così la domanda che tutti ora si pongono è la seguente: se all’indomani del 2 giugno 1967 si fosse appreso che Kurras era un’agente della Stasi, la storia tedesca recente sarebbe stata diversa?
Tra i numerosi contributi usciti sull’argomento in questi giorni, sono soprattutto due che permettono di focalizzare meglio gli opposti punti di vista. Secondo Peter Schneider, scrittore (suo il “Saltatore del Muro” tradotto in italiano da Feltrinelli) e intellettuale di sinistra, non può essere univoca. Come spiega anche in una lunga intervista rilasciata alla Welt (un quotidiano del gruppo editoriale Springer). “Con la rivelazione su Kurras la storia non va riscritta – dice Schneider – questa notizia non cambia il giudizio sulla violenza gratuita che il 2 giugno del ‘67 la polizia mise in atto contro i manifestanti. I poliziotti che quel giorno picchiarono senza pietà i manifestanti erano stati addestrati da ufficiali di polizia che avevano imparato il loro mestiere sotto il nazismo. Quel giorno a protestare contro il regime dello scià c’ero anch’io. Ero un militante di sinistra moderato. Poi però ho assistito a uno scoppio di violenza che mai avrei creduto possibile da parte delle forze dell’ordine”. Nel suo intervento sullo Spiegel Schneider articola più dettagliatamente il suo pensiero. “L’odio contro la figura simbolo dello stato di polizia a Berlino ovest – cioè Kurras – un odio alimentato anche da Dutschke, avrebbe preso una doppia direzione. Sul banco degli imputati ci sarebbe stata sia la classe politica della Ddr che il Senato di Berlino… Certo i giornali di Springer avrebbero rivoltato la frittata, definendo Ohnesorg non più vittima della violenza dei suoi compagni, ma vittima di un agente comunista… Anche l’associazione terroristica ‘Bewegung 2. Juni’ avrebbe dovuto muoversi su due fronti e forse… non si sarebbe mai costituita”. Lapidario invece l’ex direttore dello Spiegel Stefan Aust. Nel suo articolo sulla Bild Zeitung di qualche giorno fa scriveva: “Il poliziotto e agente della Stasi Kurras ha forse contribuito più di alcuni membri della Rote Armee Fraktion a far esplodere e lievitare la strategia del terrore. Il 2 giugno, su questo concordano anche i compagni della sinistra più politicizzata, è stata una pietra miliare per l’instaurarsi degli anni di piombo… Quanto quello sparo mortale si inserisse perfettamente nella strategia di propaganda della Ddr, si può evincere dal quotidiano della Sed (partito di cui Kurras era membro, ndr). Il Neue Deutschland scriveva all’indomani della morte di Ohnesorg: ‘A tanto siamo arrivati. La polizia di Berlino ovest si accanisce con incredibile brutalità contro studenti che manifestano, ragazze e semplici curiosi. Ammazza con un colpo alla testa un giovane di 26 anni. Se i poliziotti non si rifiutano di sparare a cittadini inermi, c’è solo da chiedersi chi li ha aizzati in tal modo’”. Posizioni diverse, seppure scevre di un’animosità che a quarant’anni di distanza sarebbe anacronistica, ma soprattutto non servirebbe a fare i conti anche con questo pezzo di storia.