Giovedì è stata la giornata dedicata a «Dimmi un po’: com’è ’sta Serracchiani?». Aveva parlato sabato, io l’avevo incontrata mercoledì, e davo le stesse risposte a tutti: simpatica, fatta a forma di segretario di partito, so che registrava una cosa per Anno Zero di stasera, non aveva tempo di andare a Ballarò ma venerdì è dalla Bignardi. La ragione per cui tutti mi chiedevano di lei era che, appunto fino all’ Era Glaciale, se ne parlava molto ma non la si era molto sentita parlare, giusto qualche intervista ai quotidiani. Le avevo lette in treno, andando a Udine, e qualche ora dopo, sentendola rispondere alle mie domande, ogni tanto smettevo di prendere appunti pensando la cosa che ti ritrovi sempre a pensare intervistando le attrici americane in promozione: ok, questa l’ho già letta uguale identica su altri tre giornali quindi non la uso. Il che mi sembrava rassicurante e professionale. Se una ha un film da decine di milioni di dollari da vendere, dice le cose che servono allo scopo, non quelle che servono a farti andare a casa desiderosa di chiederle al più presto l’amicizia Facebook. Se una vuole fare il segretario di partito e trova delle frasi che funzionano e che dette in un’assemblea le guadagnano plauso pressoché unanime, mi sembra giusto che le ripeta a oltranza. Non è che Berlusconi smetta di dire quanto son cattivi i comunisti solo perché le chattering classes ne sono annoiate, no? Non è che si mettano a cambiare il logo alla nutella, dopo il disastro che fu la New Coke. Eccetera. Insomma, era (ed è) ovviamente un complimento.
Giovedì, dicevo. Dico le stesse cose che avevo detto a tutti gli altri all’ennesimo amico che domanda, e lui fa la voce delusa. Dice cose come «ma quindi non si risparmia, ma quindi non è una ragazza ingenua, ma allora non mi piace più». Questione di punti di vista, immagino. Io ero piuttosto contenta di essermi trovata davanti una solida funzionaria di partito, invece che una giovane di magnifici ideali sulla cui realizzabilità trova volgare interrogarsi. Una che non ha una pagina Facebook; che quando le dico «Ammazza che buco che ha preso Maltese, ha intervistato tutte le giovani speranze del Pd tranne te», mi risponde «Ah… chi ha intervistato? Io mi sa che ne ho letta solo una»; che dice di essere «tra le più vecchie che hanno parlato sabato, anagraficamente, magari non di testa», invece di dire quanto ci sia il pieno di giovani geni incompresi; che, quando provo a sondare cosa pensi delle rivendicazioni generazionali che hanno tenuto banco tra blog e affini in questi anni, ha l’aria di non sapere o comunque di non essere particolarmente interessata. «Io le pagine della politica non è che le salti, però neanche…». Trovo molto rassicurante che, se proprio abbiamo bisogno di un’eroina su cui puntare, sia una che se deve dire la sua lo fa in un congresso contestando le posizioni del partito, invece che dare un’intervista in cui rivendica intanto-datemi-spazio. Trovo un’ottima cosa che Debora Serracchiani dica a chiunque la intervista solo quel che ha deciso di dire; ancora più rassicurante che fosse fin qui impegnata a lavorare, ovvero a fare politica, invece di aprirsi blog e rivendicare quote-novità; e sono sollevata circa il suo senso delle priorità quando, nel raccontarmi di qualcuno che le ha chiesto il numero di cellulare dopo l’intervento, dice: «Hanno mandato a chiedermelo una ragazza della carovana del Pd, che io veramente non sapevo cosa fosse».
E – siccome mi pare che di favole e piccoli prìncipi e lettere di bambini morti e foto in bianco e nero dei good ol’ days ne abbiamo già avute e abbiamo già verificato come non siano elettoralmente rilevanti – non sono disposta a credere a Debora quando mi dice che la goffaggine e le risatine del suo discorso erano naturali, che non si era accorta di quanto funzionasse dal punto di vista della resa del discorso quell’aria tra Chauncey Gardner e Pollyanna. Voglio credere che mi menta, perché è anche questo che deve fare una che nella vita voglia vincere le elezioni e governare un cazzo di paese, e non solo essere la migliore amica dei blogger. Dopodiché, l’ultima cosa che mi ha detto accompagnandomi alla porta era che si aspettava il contraccolpo, che dopo averla innalzata la demolissero, e io le ho detto che sì, in effetti i tempi tipografici non aiutavano, la nostra intervista sarebbe uscita su Io Donna dieci giorni dopo e quindi probabilmente la mia linea sarebbe stata «che due coglioni ’sta Serracchiani», speravo capisse. E lei ha sorriso con l’aria serena di una politica scafata, e io ho pensato che è di questo che sentivo la mancanza. Non i giovani. Non le donne. I professionisti.