Il teorema che l’ex cancelliere Wolfgang Schüssel usò nel 1999 per giustificare la coalizione con i nazional-liberali di Jörg Haider – “In questo modo proveranno la loro incapacità di governare e saranno spazzati via” – domenica 28 settembre si è dimostrato falso. La Fpö, guidata oggi da Heinz-Christian Strache, e la Bzö (Unione per il futuro dell’Austria) di Jörg Haider, rispettivamente, si sono aggiudicate il 18 e l’11 per cento dei voti. Un risultato addirittura migliore di quello del 1999, quando la Fpö da sola si portò a casa un ricco 26,9 per cento. Allora il partito socialdemocratico guidato da Alfred Gusenbauer, pur essendosi attestato primo (33,1), non volle cedere alla tentazione di governare con Haider, e visto l’ostruzionismo del leader dei popolari (Övp) di Schüssel a una grande coalizione, decise per l’opposizione. Se l’Spö non voleva “sporcarsi le mani” con chi non aveva avuto problemi a elogiare aspetti del Terzo Reich e della generazione dei padri, Schüssel colse invece l’occasione. A Vienna, sull’Heldenplatz, ci furono ripetute manifestazioni di protesta. Bruxelles decise di mettere il paese in quarantena e nominò una commissione per valutare lo stato di salute politico-democratica della repubblica e dei suoi otto milioni scarsi di abitanti. L’allora capo di Stato Thomas Klestil, non potendosi opporre alla coalizione nero-blu (Övp-Fpö), pretese da Schüssel e Haider la firma di un documento in cui si impegnavano al rispetto dei valori costituenti del paese. Due legislature dopo (una chiusa anzitempo), le politiche del 2006 sembravano dar ragione a Schüssel. Haider, strada facendo, era stato fatto fuori dal suo ex delfino Heinz-Christian Strache. Ora guidava la Bzö, che nel 2006 ottenne poco più del 3 per cento, dunque non superò nemmeno la soglia di sbarramento (al 4). Ma l’Fpö, con il suo 11 per cento, già mostrava potenzialità da non sottovalutare. In questa tornata le ha dimostrate.
Ora ci si potrebbe unire al coro di chi dà a Schüssel la colpa della débâcle dei due maggiori partiti (Spö 29,7 per cento, Övp al 25,6). L’ex cancelliere non ha mai accettato l’inaspettata vittoria della Spö, due anni fa. Così, dai banchi del parlamento, e dall’alto della sua funzione di capogruppo, ha tramato per buttare giù il cancelliere socialdemocratico Gusenbauer, incurante delle conseguenze. Ma quella che è uscita dal voto di domenica 28 settembre non è solo la manifestazione di un’insofferenza verso la politica e in particolare verso i due partiti maggiori, Spö e Öpv, che fino al 1999 avevano dato vita a quella che molti hanno soprannominato “Demokratur” (democrazia-dittatura), cioè a quasi mezzo secolo di governi guidati dai socialdemocratici oppure da grandi coalizioni. Basta un dato per far capire che c’è qualcosa d’altro che anima la società austriaca: da quest’anno il diritto di voto è stato esteso ai sedicenni, e più del 40 per cento di loro ha votato o Bzö o Fpö. O Haider o Strache.
Di Haider si sa molto, e comunque l’età pare averlo ammorbidito. Recentemente si è spinto persino a dire che “l’Austria non può chiudersi come una roccaforte”. Appena qualche anno fa gli stranieri, regolari o irregolari, erano secondo lui solo “marmaglia venuta a rubarci i posti di lavoro”. Di Strache, fuori dal paese, si sa invece molto poco. Forse perché, con i suoi trentanove anni, viene ritenuto ancora troppo giovane per essere preso sul serio. Eppure il suo passato qualche attenzione la meriterebbe: ha frequentato assiduamente la casa di Norbert Burger, leader del Npd austriaco (poi messo fuori legge per apologia del nazismo), anche perché fidanzato con una delle figlie, e durante le superiori ha fatto parte della confraternità studentesca Vandalia. Esperienza di cui Strache (come diversi suoi collaboratori ancora oggi) porta sul viso il segno: una cicatrice. Il duello, infatti, fa parte della prova di ammissione alla confraternita (in Austria queste associazioni hanno spesso contatti più o meno stretti con la destra radicale, nazionalista e neonazista). Infine, un paio di anni fa, il tabloid Österreich pubblicò una foto di Strache in tenuta da combattimento, con tre dita alzate a forma di W (Wiederstand, resistenza), segno di saluto tra i neonazisti.
Naturalmente si può sempre dire, come disse lo stesso cancelliere Gusenbauer quando scoppiò lo scandalo, che quelli sono “errori di gioventù”. Strache, allora, prese le distanze e condannò pubblicamente il Terzo Reich. Molti dei suoi elettori magari ne saranno stati anche contenti, ma la loro stragrande maggioranza non ha rimpianti di questo genere. Il fatto è che Strache usa, riviste e corrette, le paure di quel passato: immigrazione, globalizzazione, sicurezza, Unione europea. “Vuoi una casa? Mettiti il velo” è stato uno dei suoi slogan preferiti in campagna elettorale. E ancora “L’Austria fuori dall’Ue”, “L’Austria agli austriaci” . Peccato che l’Austria sia tra i paesi più ricchi dell’Unione europea, e tra i paesi che hanno maggiormente beneficiato dell’allargamento ad est. Come disse una volta Gusenbauer: “Prima del 2004 eravano più poveri della Svizzera, ora siamo più ricchi”. Ma questo poco importa. Risentimenti, scontentezza, paura della Überfremdung (colonizzazione) sono i sentimenti prevalenti. Proprio a Vienna, l’unica grande città del paese, che ancora oggi basa buona parte della sua attrattiva sul cosmopolitismo, il 24 per cento degli elettori domenica ha votato Fpö. E a votare per Strache e per Haider, oltre ai giovani, c’è il ceto medio. Quel ceto medio che prima metteva la croce sull’Övp.
Gusenbauer diceva che l’animo austriaco è complesso, e che “c’è sempre qualcosa di cui aver paura”. Ma questo, aggiungeva, dimostra che in fondo “la gente è contenta di come stanno le cose e non vuole che cambino”. Ragionamento un po’ contorto e che comunque non spiega perché al posto dell’estrema destra, gli insoddisfatti dei due grandi partiti non votino per esempio i liberali di centro, la LiF.
Secondo il politologo Anton Pelika, la ragione sta nel fatto che non c’è mai stata una vera tradizione liberale. E il perché di questa mancanza si potrebbe spiegare, almeno in parte, con quello che disse lo scrittore Gerhard Roth: “Non dimentichiamoci che questo popolo per secoli è stato governato da un padre padrone, il Kaiser. Un’abitudine alla sudditanza da non sottovalutare”. Peter Handke, parlando della claustrofobia intellettuale, politica e sociale del suo paese, di quel tratto Biedermeier (piccolo borghese) perbenista, bigotto e autoreferenziale, coniò questa espressione: “L’Austria è il grasso che mi resta ficcato in gola”. Certo pesa anche il ritardo con cui l’Austria ha fatto i conti con il suo passato. Solo dopo lo scandalo Waldheim, negli anni 80, il paese ha smesso di credere alla favola di essere stato la prima vittima del nazismo. “Poi i conti lì abbiamo fatti – afferma lo scrittore Peter Hümer – ma intanto erano trascorsi altri quarant’anni, in cui sottacere colpe e tramandare una certa mentalità”. Così, conclude Hümer, “il problema vero della foto di Strache è che nessuno si sia meravigliato di vederlo in quell’assetto e in quella posa”.