L’agile saggio di Marco Follini, “La volpe e il leone”, è uscito giovedì 17 gennaio, lo stesso giorno della mancata presenza di Papa Ratzinger alla Sapienza di Roma e più o meno in concomitanza con l’avvio delle vicende giudiziarie della famiglia Mastella. Provvidenziale tempismo: in neanche cento paginette dense di personaggi dalla coabitazione per nulla scontata – Immanuel Kant e Mariotto Segni su tutti – Follini affronta il tema dei temi: il rapporto tra morale e politica. L’arte di governo è tecnica dell’amministrazione e del mantenimento del potere o scienza ispirata a moralità, valori, dover essere?
Nel titolo, la volpe e il leone – l’astuzia e la forza – sono ovviamente quelli del Principe di Machiavelli, che fu il primo a “mettere il filo spinato tra politica e morale”. Ma ormai, sentenzia Follini, “dopo cinque secoli, il mondo lo sta archiviando”. E cita, tra gli altri segnali di questo abbandono, proprio la grande presa che il messaggio della Chiesa ha acquisito sulla politica. La chiave di volta è però nel tredicesimo capitolo, dove si sostiene che sì, Machiavelli va superato, ma non si deve considerare l’esercizio del potere come un affare per “puri”. Così, infatti, si cadrebbe nel rischio del fanatismo. Occorre invece situarsi a metà strada tra il “confessore” e il “peccatore”: il primo ci tiene in allenamento la coscienza, il secondo ci fa ascoltare le ragioni della libertà. “Lì nel mezzo dobbiamo stare”, spiega l’autore.
Questa estrema spericolatezza interpretativa, lontana anni luce dalla cautela che generalmente si riconosce a Follini, si manifesta anche nel giudizio sul caso Unipol. Che non è propriamente un giudizio, ma un ghigno di rivincita del vecchio democristiano. “Fassino che giubila «abbiamo una banca» non infrange la legge”. Però – che goduria! – dove sta tutta questa superiorità morale? “Fa parte della normalità tanto cara a D’Alema – conclude – che ci siano onesti e meno onesti distribuiti lungo tutto lo spettro delle posizioni politiche”. Il che in generale è vero, ma in particolare assolutamente gratuito, visto che per il caso Unipol parlare di disonestà dei politici è una bizzarria bella e buona.
Follini dice molto sul caso Unipol, ma molto poco sul governo Berlusconi: “Lungo i tornanti della sua avventura politica si può dire che la nostra etica pubblica sia scesa ancora di qualche gradino più giù”. Il livello è basso, accidenti, soprattutto perché Silvio Berlusconi ha dato il via a una strategia di promesse irresponsabili che “incide sulla moralità della politica”. Perché questa politica “non decide, commercia. Offre indulgenze”. Follini dice troppo poco per una semplice ragione: durante il governo Berlusconi, come è noto, egli fu segretario di un partito della maggioranza e più tardi anche vicepresidente del Consiglio. Ecco, uno che scrive un libro sul rapporto tra etica e politica questa cosa forse la dovrebbe, responsabilmente e kantianamente, ricordare.