Sul Magazine del Corriere, Angelo Panebianco riflette sulla forma-partito del XXI secolo. In capo all’articolo, mette la seguente considerazione: un partito deve adeguarsi ai tempi. Ma un partito che si adegui ai tempi, senza essere capace di cambiarli almeno un po’, e comunque di incidere sul loro corso, non è un partito politico: al massimo è un centro studi. In coda, invece, Panebianco propone la seguente riflessione: in Italia i partiti politici che sono sulla piazza buttano via sigle e simboli perché si vergognano del loro passato. Ma a parte il fatto che c’è chi li raccoglie, e qualche notaio potrebbe confermare che le fiamme tricolori e le democrazie cristiane e i partiti comunisti non sono affatto defunti, non si capisce come l’illustre politologo possa immaginare da un lato che i partiti di una volta non abbiano più senso, e dall’altro che conservino però senso i loro simboli e le loro sigle. Che è poi, neanche tanto paradossalmente, esattamente l’inverso di quel che sembra passare per la testa al segretario del Pd, a proposito di forma-partito e di vecchi (gloriosi) simboli. Il fatto è che in Italia, in materia di partiti, si elogia solo quello che non c’è ancora e quello che non c’è più.