Il dibattito politico italiano di questi ultimi mesi ha tre indiscussi protagonisti: Gian Antonio Stella, Michela Vittoria Brambilla, Beppe Vaffa Grillo. La loro ascesa è stata vista ora come la cupa premonizione di una crisi di sistema imminente, dunque come un segnale da prendere molto sul serio e di cui tenere conto, ora come una barzelletta di dubbio gusto, da accogliere al massimo con un’amara risata. E in effetti questa storia comincia proprio come una barzelletta: ci sono un giornalista, un’imprenditrice e un comico. Ma non c’è niente da ridere. Persino i loro nomi, messi in fila, somigliano a una filastrocca per bambini: Grillo, Stella e Brambilla. Sembra una conta. Tipo: ponte ponente ponte pi. Alcuni sostengono sia il conto alla rovescia della Terza Repubblica. La terza generazione della grande crisi esplosa nel ’92. Dopo la stagione dei Mariotti, che ha avuto il suo cantore in Eugenio Scalfari, e quella dei Berlusconi, che ha avuto il suo cantore in Berlusconi medesimo (e nelle sue tv), si annuncia ora la stagione delle Brambilla e dei Grillo, che ha il suo cantore indiscusso in Gian Antonio Stella.
Grillo, Stella e Brambilla. Nella lunga notte dei partiti, il dibattito ha illuminato i loro libri, i loro circoli, i loro blog. Sono stati insieme oggetto di culto e oggetto di scherno. Per ciascuno di loro i critici hanno parlato di fenomeno mediatico e di movimento antipolitico. In molti hanno evocato lo spirito del ’92. Anche stavolta, guardate un po’, c’è di mezzo un referendum. Spirito del ’92 e spirito del maggioritario tornano così a confondersi. Torna la polemica contro i vecchi partiti e contro gli odiosi apparati, ed è certamente significativo che una simile contestazione investa persino Forza Italia, il partito del nuovo per eccellenza, il movimento nato proprio sulle rovine dei partiti tradizionali, il non-partito per definizione. Duplice ironia della storia: perché in questo caso la stessa contestazione degli apparati non viene dal basso, ma dall’alto. Anzi, dal vertice. Come si conviene a un partito che partito non è mai stato, bensì proprietà privata del suo creatore, che ora usa Michela Brambilla per fare la sua personale rivoluzione culturale, bruciando idealmente i libri di poesie di Sandro Bondi e i pensosi saggi politico-economici di Giulio Tremonti nelle trasmissioni della Tv della libertà.
La verità è che la retorica che ruota attorno al libro di Stella e al blog di Grillo è talmente vecchia da avere già prodotto la sua parodia, quasi in tempo reale. E questa è appunto il movimento della Brambilla, con le esilaranti polemiche sulla democrazia interna di Forza Italia, che sono poi la morale della nostra favola. Con i dirigenti del partito di plastica costretti a invocare un minimo di rispetto per gli apparati, le procedure democratiche, le correnti. Ormai dovrebbe essere chiaro a tutti: il brambillismo è l’esito inevitabile che attende tutti i partiti al termine della cura di Stella e Grillo, una cura da cavallo persino per i partiti di plastica. Chiedere per conferma a Sandro Bondi.
Il Partito democratico è la risposta alla deriva antipolitica, dicono i suoi dirigenti, presentando le primarie del 14 ottobre come l’esatto opposto di quel Partito della libertà nato dal notaio, per iniziativa di Michela Brambilla e per volontà di Silvio Berlusconi. Ma in questi mesi il Partito democratico, proprio per rispondere a quella deriva antipolitica che in pochissimi – anche nel Pd – hanno avuto il coraggio di denunciare per quello che è, si è potentemente brambillizzato. Walter Veltroni ha preteso pubblicamente che in tutte le liste per la costituente siano presenti “centinaia di nomi” indicati da lui. Ovviamente tutte grandi personalità della società civile. Come Michela Brambilla, appunto. Sindaci e persino assessori del Pd si sono brambillizzati più che mai, nel tentativo di scavalcare sui giornali i propri rivali interni, gli odiosi apparati. Eugenio Scalfari ricorda perfidamente ad Antonio Di Pietro, sostenitore e precursore di Grillo, il caso del senatore Sergio De Gregorio, candidato dal suo meraviglioso e purissimo partito-movimento della società civile, l’Italia dei Valori, e passato con Berlusconi un minuto dopo l’elezione. Ma è inevitabile che questo accada, una volta che sia venuto meno ogni meccanismo democratico di formazione e selezione dei dirigenti, venuti meno gli odiosi apparati. Il conto alla rovescia è cominciato molto tempo fa.
Il passo successivo di questa conta, che i grandi giornali ripetono ormai da mesi come un rito propiziatorio, si chiama Luca Cordero di Montezemolo. Se n’è parlato spesso. A un certo punto pareva che fosse stato anche lui dal notaio, a registrare il suo logo: Italia futura. Più volte è sembrato sul punto di annunciare la sua discesa in campo, con discorsi e manifesti in cui non mancavano mai ampie citazioni dal libro di Stella, sebbene non sempre dichiarate. Poco male. Del resto, il copyright è suo.
E’ giusto dunque rendere onore al merito, anche a lui, per il sucesso del libro. “La casta”, il coraggioso libro-inchiesta di Gian Antonio Stella e Sergio Rizzo, dal non meno coraggioso sottotitolo: “Così i politici italiani sono diventati intoccabili”. Così intoccabili che ne possiamo leggere quasi tutti i giorni le private conversazioni telefoniche sul Corriere della sera. Così intoccabili che Clemente Mastella e il suo viaggio a bordo dell’aereo di Francesco Rutelli, un passaggio che al contribuente non è costato un centesimo, campeggia da giorni sulle prime pagine (e intanto si manda un bravo fotografo a immortalare il governatore Draghi che prende il treno, affinché al popolo non manchi un esempio positivo). Ma in questi giorni Mastella si guadagna pure la copertina dell’Espresso, sotto il titolo: “Chi ha ucciso la giustizia”. Verrebbe quasi da pensare che il Guardasigilli abbia fatto un dispetto a qualcuno. O forse, più verosimilmente, che non abbia fatto ad altri – per esempio a Romano Prodi – tutti i dispetti che qualcuno attendeva.
Anche Montezemolo ha dunque cominciato per tempo la sua rivoluzione culturale. Ma si tratta di un movimento di cui lo stesso presidente della Fiat è solo un esponente, e forse nemmeno il più importante. Rivoluzione culturale, prima che politica. Maoismo confindustriale, nutrito dai suoi stessi mezzi di comunicazione, dove gli esperti in materia certo non mancano. E così sappiamo tutto dell’affitto o dell’acquisto di casa da parte di Clemente Mastella e Franco Marini, e quasi nulla del gigantesco patrimonio immobiliare di Telecom e delle relative operazioni di Pirelli Re. Fior di inchieste ci hanno descritto per anni fino all’ultima scatola finanziaria dei celebri immobiliaristi o della razza padana di Emilio Gnutti, ma nemmeno le proteste di Margherita Agnelli sono valse più di uno specchietto, una mezza incomprensibile paginetta o uno stentato boxino, sui grandi giornali, a proposito delle società estere della galassia Fiat. Dal caso Parmalat in avanti, non sono certo mancate le vicende che in questo campo avrebbero meritato un approfondimento. Ma chi a simili argomenti si è dedicato seriamente, come Massimo Mucchetti, il meno che si può dire è che ne ha passate parecchie. E non si sono viste allora grandi manifestazioni in difesa della libertà di stampa. Nemmeno un girotondo. In compenso, i giornali grondano indignazione per il vile atto di spionaggio di cui è stata vittima la Ferrari. Della centrale di spionaggio insediata ai vertici della Telecom e delle relative indagini della magistratura, chissà perché, non si parla più.
L’unica cosa di cui si parla è una ridicola barzelletta. Ci sono un giornalista, un’imprenditrice e un comico. Non si capisce, però, dove la storiella sia ambientata. In quale paese. Ammesso e non concesso che un tale paese esista ancora.