Per capire le ragioni dell’improvvisa crisi nel rapporto tra Cgil e governo non serve guardare al merito dell’accordo (si fa per dire) sottoscritto. Non c’è dubbio infatti che i sindacati, e la Cgil in particolare, abbiano ottenuto più di quanto fino a poco tempo fa fosse anche solo lontanamente immaginabile: non solo un drastico ammorbidimento allo scalone, ma anche gli interventi per le pensioni minime, per i giovani e per i lavori usuranti.
Cosa ha portato dunque Epifani a dichiarare a Repubblica che “la concertazione non c’è più”? Quali sono i motivi dell’annunciato autunno caldo in cui sindacato e sinistra radicale sfideranno il governo, mettendone a rischio la stessa sopravvivenza?
Per capire cosa è successo occorre tornare all’alba del 20 Luglio. Dopo una notte di durissime trattative, il governo annuncia l’accordo e rimanda al lunedì successivo (il 23) la sottoscrizione del testo definitivo. Guglielmo Epifani dichiara alle agenzie che è stato un “confronto duro e difficile su un tema delicato”, ma che il lavoro è stato “proficuo”. Dice inoltre che la Cgil lunedì 23 darà un giudizio “su tutto, non solo su questa o quella parte del testo”.
Insomma, luci e ombre, ma una valutazione complessivamente positiva. Una valutazione che Epifani ribadisce nel pomeriggio di fronte al direttivo della sua organizzazione. Anzi, il segretario della Cgil si spinge anche oltre, spiegando che i punti deboli sono figli delle “compatibilità finanziarie” che hanno “ristretto i margini di manovra della trattativa”. Mentre la Cgil discute, però, qualcosa comincia a muoversi sul piano politico.
Torniamo ancora una volta all’alba del 20. Il primo ad attaccare l’accordo è il parlamentare europeo dei Comunisti italiani Marco Rizzo (“peggio della legge Maroni”) mentre il capogruppo di Rifondazione comunista in Senato, Giovanni Russo Spena, a caldo, tiene una linea prudente (“amarezza per la fatica con cui si è dovuto difendere i diritti dei lavoratori”). Quindi è la volta di Oliviero Diliberto. Il segretario del Pdci segue Rizzo sulla linea dura: “Il governo ha ceduto al ricatto dei conservatori”. Nella tarda mattinata si riunisce la segreteria di Rifondazione e anche il Prc decide di andare all’attacco. “Questa trattativa – dice il segretario Franco Giordano – aveva il piombo nelle ali: la mancata mobilitazione del mondo del lavoro prima del suo epilogo”. E aggiunge: “I risultati che sono stati ottenuti, invece, sono il frutto di una sintonia tra una sinistra politica e una mobilitazione operaia. Lavoreremo in queste settimane per cambiare con la mobilitazione e in parlamento il segno dello scalone che continua a essere profondamente iniquo. Lavoreremo per superare la legge 30, lavoreremo per una nuova normativa sui contratti a termine. Come si vede per noi la vicenda resta aperta”. Qualche ora dopo, alla direzione del suo partito, rincara la dose: “Puntiamo a modificare l’accordo con iniziative sociali e una battaglia parlamentare, posizioneremo sulla finanziaria la concreta possibilità di intervenire su questo terreno”.
Dal coro della sinistra radicale si distingue Fabio Mussi, che dichiara: “Un buon accordo. Naturalmente ci può essere questo o quel punto su cui si poteva fare di più, ma complessivamente è un buon accordo. I dubbi sono legittimi, ma sarebbe un grave errore se la riforma ora non fosse approvata in parlamento”. Anche Cesare Salvi qualche ora dopo usa argomenti analoghi.
Intanto il Consiglio dei ministri, pur con qualche resistenza del ministro Paolo Ferrero (l’unico rappresentante di Rifondazione nell’esecutivo), approva all’unanimità l’accordo. La lunga giornata di venerdì 20 si conclude dunque con una rappresentazione per così dire classica dell’articolazione di posizioni politico-sindacali: da un lato Rifondazione e Pdci in asse con la minoranza della Cgil (Fiom per prima), dall’altro Epifani e la sua maggioranza sostenuti sul piano politico dal Partito democratico, ma anche e soprattutto dall’ex-correntone ds, che ha un peso assai rilevante all’interno del sindacato rosso.
Il week end prosegue tranquillo, ma le nubi cominciano ad addensarsi all’orizzonte. Giordano annuncia per settembre una grande consultazione del popolo di Rifondazione per decidere se rimanere al governo. Lunedì 23 governo e sindacati, finalmente, firmano il protocollo nella sua versione definitiva. Ma Epifani, uscendo da Palazzo Chigi, esprime il suo dissenso su due punti: l’azzeramento della sovracontribuzione degli straordinari e l’abolizione dello staff leasing.
Nella notte il direttivo della Cgil approva l’accordo, pur con i voti contrari della sinistra interna (92 favorevoli, 22 contrari e 8 astenuti) e dopo una discussione lacerante. Ma è solo all’indomani, la mattina di martedì 24, che si arriva alla svolta. L’offensiva politica contro l’accordo registra un salto di qualità: a Rifondazione e Pdci si aggiunge Fabio Mussi, che fino ad allora aveva coperto il sindacato. Il ministro dell’Università è durissimo. “Il protocollo del governo ‘Equità e crescita sostenibile’ contiene tre parti – attacca – previdenza, competitività, mercato del lavoro. Avendo espresso in Consiglio dei ministri consenso sulla previdenza, l’unica parte lì messa in discussione, devo a mezzo stampa esprimere il mio dissenso e quello di Sinistra democratica sulle altre due. Su questi punti proporremo, quando il Consiglio dei ministri sarà chiamato a discutere e il parlamento a decidere, soluzioni diverse da quelle del protocollo e più coerenti con il programma dell’Unione”. Pochi minuti dopo Giordano annuncia l’apertura del “conflitto” con il ministro Cesare Damiano e dice di ritenersi “non legato” alle sue scelte. Seguono gli altri.
Si salda così, nuovamente, il fronte a sinistra del Pd, contro un accordo comunque sottoscritto anche dalla Cgil. Ed è sulla Cgil che ora la pressione si fa fortissima. I direttivi riuniti dei tre sindacati previsti per il pomeriggio del 24 saltano, un comunicato ne annuncia la riconvocazione a settembre. Cisl e Uil, nel frattempo, rivendicano con convinzione l’accordo.
Dinanzi alla svolta improvvisa maturata dopo la firma del protocollo, la domanda è semplice: bastano le aggiunte del governo a giustificare una tale reazione da parte della sinistra radicale? A nostro parere no, perché il risultato complessivo ottenuto dai sindacati era tale da non poter essere ragionevolmente messo a rischio da modifiche comunque marginali. La semplice successione dei fatti porta dunque a ritenere che la posta in gioco sia assai più alta, in una partita che investe non le sorti del governo – o almeno non solo – ma niente di meno che il futuro del maggior sindacato italiano.
Su queste pagine si è scritto più volte in passato che la nascita del Partito democratico avrebbe prodotto una scossa sismica salutare per il paese. La gestione dei movimenti tellurici è però in alcuni punti assai più delicata che in altri. La reazione della sinistra radicale alla nascita del Pd, sul terreno politico, è una positiva spinta emulativa che punta alla costruzione della cosa rossa, un soggetto il cui elettorato solo in minima parte si sovrappone a quello del Pd. Per limitarsi ai gruppi dirigenti, la competition è ridotta a un residuale segmento dell’ex sinistra ds. Un campo di forze limitato, dunque, che andrà a costituire l’ala moderata della cosa rossa, senza però mutare drasticamente i rapporti di forza interni al nuovo soggetto, che avrà comunque nel blocco di Rifondazione il suo azionista di maggioranza.
E’ sul piano sociale, invece, che la partita è più dura, perché nella Cgil i gruppi dirigenti che fanno riferimento ai partiti della sinistra radicale sono minoritari, mentre il blocco maggiore fa riferimento all’ex correntone ds. Epifani ha sempre cercato, almeno formalmente, di mantenere un profilo neutrale. Eppure, a dar retta alle indiscrezioni, proprio a lui sarebbe stato offerto di guidare il nuovo soggetto politico. Quella che si sta combattendo in questi giorni è dunque la battaglia per fare della Cgil il soggetto sociale di riferimento della cosa rossa, lasciando al Partito democratico “soltanto” Cisl e Uil. Un’operazione intelligente e spregiudicata, che secondo alcuni nel sindacato avrebbe anche la benedizione di Walter Veltroni. E’ noto il suo legame con Fabio Mussi e con molti dei principali dirigenti di Sinistra democratica. Ed è evidente come il peso degli ex diessini nella cosa rossa aumenterebbe notevolmente se fossero in grado di portare in dote, oltre a qualche striminzito punto percentuale, il più grande sindacato italiano. Per il sindaco di Roma potrebbe essere l’occasione per mettere sotto tutela la cosa rossa, trovandosi alla sinistra del Pd un soggetto certo più forte, ma anche, almeno nel breve periodo, ben più controllabile. E in questo quadro anche l’ipotesi di una candidatura di Epifani (che come segretario generale è in scadenza) acquisterebbe credibilità.
La sottoscrizione del protocollo col governo e il sostegno offerto inizialmente da Mussi aveva allontanato questo disegno, scatenando la reazione di Rifondazione e Pdci, che invece di rivendicare un accordo oggettivamente “di sinistra” avevano alzato ulteriormente l’asticella. A quel punto la pressione politica nel sindacato e su Sinistra democratica è diventata intollerabile e, alla prima occasione, Mussi ed Epifani si sono riallineati.
E’ iniziata dunque la vera partita: l’opa sulla Cgil è stata lanciata. Ora sta al Pd prendere una decisione: organizzare le forze per resistere o lasciare per strada uno dei pezzi più importanti della sinistra italiana. Ma sta innanzi tutto a chi nella Cgil non condivide questa scelta, adesso, battere un colpo. Non in nome del Pd, ma in nome dell’autonomia del sindacato.