Chi di Costituzione ferisce di Costituzione perisce. La Francia gollista, neo-napoleonica, ha voluto imporre il suo modello all’Europa, ma è andata oltre i limiti delle sue risorse politico-culturali. E la Francia stessa ha ucciso il suo sogno. Il risultato del referendum francese è il terzo episodio nella serie dei recenti mutamenti degli equilibri politici europei.
Primo, la caduta del muro di Berlino, che ha portato all’unificazione tedesca e al progetto della moneta unica. Secondo, la fine dell’Unione Sovietica, che ha condotto all’espansione ad est dell’Unione europea. La Costituzione era il disperato tentativo della Francia di imbalsamare gli equilibri europei, di fermarne la storia. Come un nuovo Congresso di Vienna, avrebbe voluto sterilizzare gli effetti destabilizzanti della morte dell’Urss. Ma sopratutto avrebbe voluto esorcizzare e negare la grande rivoluzione che sta trasformando il pianeta: la globalizzazione. Chirac, come un novello Breznev, voleva imporre una nuova “grande stagnazione”, consumare lentamente il progetto europeo nell’illusione dell’immortalità della grandeur francese. Ma i cittadini francesi, orgogliosi della loro storia, hanno salvato l’Europa. Negando questa Costituzione hanno ridato un futuro politico al nostro continente. Hanno impedito che l’Europa si suicidasse con l’adozione di un modello politico asfittico e inadeguato. Hanno compiuto il gesto senza essere consapevoli delle conseguenze. Come gli assassini di Cesare pensavano di salvare la Repubblica e invece spianarono la strada all’Impero. Così la maggioranza dei francesi ha rifiutato la Costituzione per paura dei cambiamenti, e ha invece aperto una nuova pagina della storia. La bocciatura popolare francese ha siglato gli effetti già anticipati dall’allargamento, ha formalizzato la morte dell’Europa neo-napoleonica. Una Comunità europea nata dalle ceneri della seconda guerra mondiale, come area d’influenza francese.
Se de Gaulle era un Napoleone, Mitterand ricorda di più un Talleyrand. Gestirà la crisi dell’unificazione tedesca con uno straordinario volo diplomatico. Un gesto così coraggioso e visionario da sembrare un verso di poesia nella storia. L’unificazione tedesca è una grave sconfitta politica della Francia. E’ la fine della tutela francese. Una Germania di 80 milioni di abitanti, diventa il paese più importante della Comunità, economicamente e demograficamente. Il progetto europeo non potrà più essere “un’area di influenza francese”. Il presidente socialista propone allora l’associazione della Germania alla Francia. Se la Comunità europea non può più essere un dominio francese, allora muoia. Nasca l’Unione europea dominio franco-tedesco. Il suggello di questa nuova alleanza, la sua arma e il suo simbolo sia la nuova moneta, “unica”: l’euro.
L’idea è così straordinaria, così politica, che tutti i partner – dopo la prima sorpresa – reagiscono con entusiasmo. Il rifiuto britannico è accolto con malcelata soddisfazione. E’ la prova finale che oltremanica non sono né si sentono europei. Sulle rive del Reno, quello che era un pensiero celato diventa un’espressione politica: l’opt-out. La possibilità di non partecipare non è un privilegio concesso a chi non è d’accordo, ma piuttosto lo strumento per liberarsi dei riottosi. Purtroppo Chirac ricorda Luigi XVI, incapace di capire la portata rivoluzionaria degli eventi. Arroccato sulle rendite di posizione.
La Costituzione viene individuata come lo strumento per gestire l’allargamento. Il giogo attraverso il quale asservire i dieci nuovi aderenti, e quelli futuri, al principato franco-tedesco. Ma un imprevisto incredibile cambia, improvvisamente, in maniera assoluta, la storia umana: l’11 settembre. Come l’esplosione di Enola Gay, questo attentato terroristico cambia gli equilibri mondiali. Modifica radicalmente il concetto di dominio, di guerra, di sicurezza.
Ma il presidente francese non se ne accorge. Procede indomito sul progetto Costituzione senza rendersi conto che non è più adeguato alla nuova situazione mondiale ed europea. Mostra tutto il suo conservatorismo nel modo in cui si oppone all’invasione dell’Iraq. Svela tutta la sua arroganza quando redarguisce i nuovi paesi – quelli che stanno per entrare nell’Unione – per aver aderito al richiamo di Bush. Infine, irresponsabilmente annuncia il referendum popolare sull’accettazione della Costituzione europea.
I veri irredentisti europei non possono accettare la logica gollista del “muoia Sansone con tutti i Filistei”. Né possono accontentarsi dei progetti di chi, prima che europeo, si sente anglossasone. Ma neanche ha senso richiamarsi ai sei fondatori. Non sono mai esistiti. I sei-fondatori sono un mito, particolarmente coltivato in Italia per mascherare la totale subalternità della partecipazione italiana a quell’area-di-influenza-francese.
L’Europa può e deve ripartire dall’unico progetto squisitamente politico, dalla visione più grande che sia stata capace di realizzare: l’euro. Il potere delle grandi idee è quello di diventare indipendenti da chi le ha prodotte. Una grande idea, una volta partorita, vive di vita propria. L’euro era stato concepito come una moneta franco-tedesca, estesa alla dependance Benelux. Era prevedibile che alcuni Paesi si sarebbero autoesclusi. Per gli altri aspiranti vennero studiati parametri di adesione che si pensavano insuperabili. Ma persino l’Italia e la Grecia fecero l’impossibile, l’imprevedibile, e l’euro diventò una moneta europea. E’ dal patrimonio dei dodici paesi che già hanno accettato di accomunare i loro destini in una moneta comune che l’Europa deve ricominciare. Serve una nuova grande coraggiosa visione. Abbiamo bisogno di nuovo di un europeista della statura di Mitterrand, che ci proponga un entusiasmante progetto politico.
Quando Prodi sarà il nuovo presidente del Consiglio italiano, avrà il coraggio, la forza, le capacità, l’influenza per proporre ai dodici il prossimo passo importante verso la costruzione dell’Europa politica? Ogni paese europeo ha già la sua Costituzione, e sono tutte valide, non sentiamo la necessità di averne una europea. Per il funzionamento dell’Europa non servono costituzioni, servono accordi e trattati. Vogliamo essere l’Europa dei cittadini, e non quella delle nazioni. Quello che ci manca per sentirci veramente europei è una cittadinanza comune: la cittadinanza europea.