Che Lance Armstrong sia un corridore fortissimo non si discute. Le sue sei vittorie consecutive al Tour de France negli ultimi sei anni possono tuttavia essere spiegate anche con due altri fattori: la meticolosa preparazione che Armstrong ha sempre dedicato a ciascuna edizione della Grande Boucle sacrificando a essa la possibilità di costruirsi un palmares più ampio e confrontabile con quello degli altri grandi plurivincitori del Tour, e l’assenza nelle sei edizioni di rivali in grado di metterlo seriamente in difficoltà per la vittoria finale, se si eccettua l’Ullrich di un paio di stagioni fa.
Tuttavia, ciò che rende veramente incredibile la sestina di Armstrong non solo dal punto di vista sportivo e atletico, ma direi sotto un profilo statistico, è il fatto che Armstrong in questi ultimi sei anni non abbia incrociato lungo la strada (diciottomila chilometri all’incirca, come dire mezzo giro del mondo, suddivisi in centoventi tappe) non solo avversari in grado di metterlo in crisi, ma nemmeno uno di quegli aspetti imponderabili, e tuttavia decisivi, che hanno sempre caratterizzato il ciclismo: incidenti, malanni grandi e piccoli, infortuni, anche semplici contingenze climatiche o ambientali.
Certamente, chi potrebbe dimenticare che Armstrong è risorto da un cancro? Ma non è di questo che voglio parlare. La fuga di Armstrong dalla terribile malattia che lo colse nove anni fa è un’epopea che resterà un’icona di questo sport e non solo, ma non ha nulla a che fare con l’invulnerabilità che gli ha permesso di realizzare il filotto, a meno di non ipotizzare una sorta di cosmica compensazione operante in modo da preservare Armstrong da ogni minimo incidente di percorso dopo avergli fatto scontare in un unico colpo tutta la sfiga che un essere umano può sperimentare in un’esistenza.
Il ciclismo, e soprattutto il ciclismo delle grandi corse a tappe di tre settimane, è uno sport in cui i risultati e le leadership sono appese a un filo. Anche Coppi, Merckx, Hinault persero Giri e Tour per facezie come indigestioni, cadute, forature, incidenti meccanici, controlli antidoping ambigui o “sfortunati”, crisi psicologiche, attacchi di prosaicissima dissenteria, o magari anche solo per un semplice foruncolo spuntato là dove non batte il sole (e provateci voi a pedalare per tremila chilometri con un foruncolo piazzato lì, anche avendo le gambe di Merckx, i polmoni di Coppi, la forza di Hinault).
Armstrong, invece, niente. Sempre sano come un pesce, mai una caduta con conseguenze, mai una foratura in un momento decisivo. E che non sia solo questione di abilità è chiaro pensando a qualche episodio: due anni fa durante una tappa alpina Armstrong e Beloki, il corridore basco che al Tour è arrivato due volte sul podio, presero una curva in discesa decisamente troppo forte. Beloki scivolò, cadde rovinosamente sull’asfalto, si ruppe il femore in più punti e, da allora, non fu più capace di correre per vincere; Armstrong tirò dritto, finì sull’erba, tagliò tutto il tornante e si immise nuovamente sulla striscia d’asfalto, come se nulla fosse. Ancora, qualche tappa dopo, il manubrio della bicicletta dell’americano si agganciò alla cinghia dello zainetto di uno spettatore, si girò di scatto, la bicicletta s’imbizzarrì e Armstrong volò per le terre. Conseguenze? Niente, nemmeno una botta. Si rimise in sella, recuperò il gruppetto dei primi – che sportivamente lo attesero – poi scattò nuovamente e vinse tappa e Tour.
Quest’anno il Tour de France partito sabato dalla Vandea si annuncia ancora una volta come un’edizione di “Armstrong contro tutti”. Tra coloro che proveranno a impedire che lo statunitense colga il suo settimo successo (e ultimo, giacché Armstrong ha annunciato il ritiro al termine della stagione) ci saranno quasi tutti i migliori interpreti delle corse a tappe del ciclismo attuale. Il punto è che nessuno sembrerebbe attrezzato alla bisogna: negli ultimi anni Armstrong è stato il più forte sia a cronometro sia in salita. Solo in pochissime occasioni è stato battuto sui terreni decisivi, e mai con conseguenze gravi in termini di classifica generale. Il suo rivale più forte, esperto e talentuoso, il tedesco Ullrich, è parso un po’ bollito già l’anno passato. Basso è migliorato moltissimo, bisognerà verificare se abbastanza. Il tercio spagnolo pare un po’ in smobilitazione dopo anni di grande spolvero. Insomma, potrebbe davvero rivincere Armstrong. Ma magari, invece, quest’anno vince il foruncolo.