Si può cavar sangue anche dalle rape – così almeno la pensava Gramsci – se sei agli arresti e se hai solo i libri della biblioteca del carcere a disposizione. Senza trovarsi in una simile, angusta condizione, si può tuttavia provare ad applicare la tenace determinazione di Gramsci alla dilagante mania dell’estate, il sudoku, per vedere di cavarne comunque qualcosa. Il sudoku è costituito da una griglia di 81 caselle, composta da nove quadrati 3×3, nella quale vanno inserite le cifre da 1 a 9, senza che però una stessa cifra compaia due volte nella stessa colonna, nella stessa riga o nello stesso quadrato. Alcune cifre sono già incluse nella griglia di partenza: compito del solutore è completare lo schema.
A quanto pare, decine di milioni di persone in tutto il mondo si sono appassionate al sudoku. Anzitutto in Giappone, che per via degli ideogrammi non ha le nostre parole crociate, ma ha in compenso riviste specializzate di sudoku; poi, in mezzo mondo. Infine in Italia, dove da qualche giorno (curiosamente: dallo stesso giorno) il sudoku compare sulle pagine del Corriere e di Repubblica. Sempre dal Corriere, apprendiamo che in Gran Bretagna, dove il sudoku impazza pure sui cellulari e alla radio, è allo studio un format televisivo incentrato sul gioco. In autunno, qualcuno penserà certamente a mettere in pista i campionati mondiali di sudoku. Regole semplici, soluzioni anche complesse, una matita e una gomma: non c’è altro.
Sin qui, la rapa: un fenomeno di costume, uno svago intellettuale che può tenere impegnati in metropolitana o sotto l’ombrellone, al bar o (nascosto il diagramma di sotto a una pratica) in ufficio. Quel che può permetterci di cominciare a cavare qualcosa è il fatto che il lettore venga spesso invitato al gioco con l’argomento che sì, si vince trovando la giusta combinazione di numeri, ma per trovarla non serve la matematica: puoi ignorare le quattro operazioni ed essere un solutore più che abile di sudoku. Quel che però vogliamo veramente cavare, non è la nota considerazione (nota e sacrosanta) circa il terrore che la matematica induce nell’italiano medio (d’estate, poi!), ma al contrario quel che significa una giusta combinazione di numeri. E cioè: il fascino emanato dalle proprietà nascoste dei numeri. Il Sudoku è un gioco nuovo, ma ha il suo classicissimo antenato nel quadrato magico, in cui i numeri venivano disposti in modo che il totale di ogni riga, colonna o diagonale desse sempre lo stesso numero. Qui di matematica ce n’è un po’ di più, ma non per questo il quadrato è magico. Lo è invece per quelle proprietà combinatorie che ben si prestano a potenti investimenti simbolici: che si tratti di trovare la nascosta simmetria del cosmo o di costruire talismani, nel quadrato magico sapienza arcaica e aritmetica sacra fanno tutt’uno.
Nei programmi che generano automaticamente griglie Sudoku, di questa arcana aritmosofia non c’è ovviamente nemmeno un grammo. Resta però una traccia, che è anzitutto una traccia estetica. Lo sapeva bene Kant: quando si manifesta un certo ordine intellettuale puramente formale, com’è appunto una certa disposizione dei numeri, che è possibile ricondurre sotto una legge o determinare mediante un calcolo ma che non pare a suo fondamento avere alcuno scopo, viene naturale trovare bella quella disposizione. Kant aveva qualche giustificata resistenza verso questo genere di bellezza matematica, poiché essa ha il difetto di scomparire una volta che sia ben nota la legge o il calcolo da cui la disposizione dipende. Allo stesso modo, si può ritenere che l’interesse per il sudoku sia inversamente proporzionale alla diffusione e alla disponibilità dei solutori automatici.
Ma questa è poi la natura del rompicapo in generale, che ha la caratteristica fondamentale di essere privo di qualunque significato, senza traccia alcuna di senso, e di richiedere tuttavia l’uso dell’intelligenza per la sua soluzione. Poiché il capire e il risolvere non hanno in esso nulla più a che fare con il comprendere e l’interpretare, una volta raggiunta la soluzione l’interesse per il rompicapo si esaurisce. Privato del suo arcaico spessore simbolico, il numero emana nel rompicapo solo una debolissima scintilla del suo antico fascino, destinata a spegnersi subito.
La mania del sudoku passerà. Resta l’impressione che, un po’ come accade con gli antichi simboli religiosi, commercializzati sulle bancarelle che circondano templi ormai affollati solo di turisti, il sudoku offerto sui quotidiani (la preghiera del mattino dell’uomo moderno, secondo Hegel) rappresenti una inconscia parodia di quella lontana origine sapienziale. Dal simbolo religioso all’estetica al rompicapo da spiaggia: se fossimo atei devoti, ne trarremmo motivo per lamentarci della infausta decadenza del mondo. Né atei né devoti, non dispereremo della capacità dell’uomo di inventare comunque nuovo senso. O, se proprio si deve, di cavar sangue dalle rape.